Una delle tradizioni più belle ed
antiche del paese era la processione del Corpus Domini. In anni passati la
processione di Caino era molto famosa nei dintorni e molti accorrevano da Nave,
da Cortine o da paesi più lontani per assistervi. Era nota quasi come quella di
Rezzato, che sembra fosse qualcosa di straordinario.
La festa del Corpus Domini era di
solito posticipata dall’ottava di Pasqua alla quarta domenica di luglio. Questo
per permettere alla gente di accudire al fieno, ai bachi da seta, al lavoro nei
campi. Anche le feste religiose erano scandite al ritmo delle attività
agricole.
Già qualche giorno prima, il
paese era tutto un fervore di preparativi. Le donne preparavano le lenzuola,
quelle buone, che per tutto l’anno erano rimaste nel cassettone; le tovaglie
col pizzo; i merletti, ricordi di vecchie mani abili e solerti o si
affrettavano a terminare i ricami che pazientemente avevano intessuto per tante
lunghe sere d’inverno accanto al fuoco. Gli uomini tagliavano le pertiche e i
legni necessari per tendere e sostenere i festoni o per l’occasione davano una
rinfrescata al muro di casa. Ogni contrada andava a gara con altre nel
preparare gli addobbi più belli e sfarzosi.
La ricorrenza era molto sentita e
partecipata nel suo aspetto religioso, ma al di là di questo c’era anche la
gioia del ritrovarsi, del lavorare insieme: era un’occasione di festa e di
folclore.
Quando i preparativi volgevano al
termine, occhi esperti studiavano da vari punti strategici l’effetto globale e
suggerivano gli opportuni aggiustamenti. Alla fine, il percorso della
processione era un fiore unico, un arabesco continuo di ricami in un’esplosione
di colori.
Il sacro corteo non era meno
fastoso e meno ricco di colore. In testa c’era il grande bandierone rosso che
veniva tolto dal suo ripostiglio la notte del sabato santo. Al Gloria, quando
le campane e i campanelli suonavano per manifestare la gioia della Risurrezione
e veniva fatto scivolare il tendone che nascondeva la pala dell’altar maggiore,
il bandierone rosso veniva issato sull’organo. Seguivano poi, secondo un ordine
preciso e dettato da un cerimoniale antico, i vari gruppi parrocchiali: la
Compagnia di S. Luigi con lo stendardo grande, l’Oratorio femminile, le Madri
Cristiane, gli uomini con le loro bandiere. C’erano anche quadri viventi di S.
Agnese, S. Lucia, rappresentati da ragazze e giovani in costume. La scelta di
questi santi non era sempre facile ne immune da piccole gelosie nei confronti
dei prescelti. Il punto focale restava sempre e comunque il grande baldacchino,
sotto il quale il prezioso ostensorio d’oro custodiva il Santissimo.
In ogni contrada c’era un altare
dove si sostava brevemente per benedire le case e la campagna.
La processione partiva dalla
parrocchiale subito dopo la Messa cantata, saliva la ripida stradina che dal
ponte del “Folletto” porta a Villa Mattina e percorreva poi quella che oggi è
Via Don Gino Pirlo fino a Villa Sera. Una volta non c’era che un viottolo in
mezzo ai campi. Per l’occasione le siepi che potevano ostacolare la marcia
venivano sfrondate e le buche più profonde colmate; questo viottolo era
chiamato: “la via del Signur”. Da Villa Sera scendeva alla Statale, la risaliva
fino alla Piazza, dove attraverso la scalinata tornava alla chiesa. Ndr: il
baldacchino era preceduto dalla “raggiera” e accompagnato da quattro grandi
torce laterali e quattro paggi.
(Leggende e storie di Caino a cura della Biblioteca comunale -settembre
1979)