mercoledì 7 febbraio 2018

LA PROCESSIONE DEL CORPUS DOMINI

Una delle tradizioni più belle ed antiche del paese era la processione del Corpus Domini. In anni passati la processione di Caino era molto famosa nei dintorni e molti accorrevano da Nave, da Cortine o da paesi più lontani per assistervi. Era nota quasi come quella di Rezzato, che sembra fosse qualcosa di straordinario.
La festa del Corpus Domini era di solito posticipata dall’ottava di Pasqua alla quarta domenica di luglio. Questo per permettere alla gente di accudire al fieno, ai bachi da seta, al lavoro nei campi. Anche le feste religiose erano scandite al ritmo delle attività agricole.
Già qualche giorno prima, il paese era tutto un fervore di preparativi. Le donne preparavano le lenzuola, quelle buone, che per tutto l’anno erano rimaste nel cassettone; le tovaglie col pizzo; i merletti, ricordi di vecchie mani abili e solerti o si affrettavano a terminare i ricami che pazientemente avevano intessuto per tante lunghe sere d’inverno accanto al fuoco. Gli uomini tagliavano le pertiche e i legni necessari per tendere e sostenere i festoni o per l’occasione davano una rinfrescata al muro di casa. Ogni contrada andava a gara con altre nel preparare gli addobbi più belli e sfarzosi.
La ricorrenza era molto sentita e partecipata nel suo aspetto religioso, ma al di là di questo c’era anche la gioia del ritrovarsi, del lavorare insieme: era un’occasione di festa e di folclore.
Quando i preparativi volgevano al termine, occhi esperti studiavano da vari punti strategici l’effetto globale e suggerivano gli opportuni aggiustamenti. Alla fine, il percorso della processione era un fiore unico, un arabesco continuo di ricami in un’esplosione di colori.
Il sacro corteo non era meno fastoso e meno ricco di colore. In testa c’era il grande bandierone rosso che veniva tolto dal suo ripostiglio la notte del sabato santo. Al Gloria, quando le campane e i campanelli suonavano per manifestare la gioia della Risurrezione e veniva fatto scivolare il tendone che nascondeva la pala dell’altar maggiore, il bandierone rosso veniva issato sull’organo. Seguivano poi, secondo un ordine preciso e dettato da un cerimoniale antico, i vari gruppi parrocchiali: la Compagnia di S. Luigi con lo stendardo grande, l’Oratorio femminile, le Madri Cristiane, gli uomini con le loro bandiere. C’erano anche quadri viventi di S. Agnese, S. Lucia, rappresentati da ragazze e giovani in costume. La scelta di questi santi non era sempre facile ne immune da piccole gelosie nei confronti dei prescelti. Il punto focale restava sempre e comunque il grande baldacchino, sotto il quale il prezioso ostensorio d’oro custodiva il Santissimo.
In ogni contrada c’era un altare dove si sostava brevemente per benedire le case e la campagna.
La processione partiva dalla parrocchiale subito dopo la Messa cantata, saliva la ripida stradina che dal ponte del “Folletto” porta a Villa Mattina e percorreva poi quella che oggi è Via Don Gino Pirlo fino a Villa Sera. Una volta non c’era che un viottolo in mezzo ai campi. Per l’occasione le siepi che potevano ostacolare la marcia venivano sfrondate e le buche più profonde colmate; questo viottolo era chiamato: “la via del Signur”. Da Villa Sera scendeva alla Statale, la risaliva fino alla Piazza, dove attraverso la scalinata tornava alla chiesa. Ndr: il baldacchino era preceduto dalla “raggiera” e accompagnato da quattro grandi torce laterali e quattro paggi.

(Leggende e storie di Caino a cura della Biblioteca comunale -settembre 1979)