giovedì 23 novembre 2017

NON FACCIAMO LE CORNA - Riflessioni

La morte è un argomento che, al solo accenno, a un buon numero di persone fa muovere automaticamente la mano in segno di scongiuro, anche se il parlarne non ha mai abbreviato la vita a nessuno.
Se ne dovrebbe parlare sin dalla prima infanzia, perché i bambini costruiscono con logica i loro ragionamento, meglio di noi adulti. Il tenerli lontano dalla morte dei nostri parenti non li aiuta a crescere nella consapevolezza che la nostra vita ha un limite.
Sin dalla nascita siamo educati e cresciamo come se la nostra vita avesse durata illimitata. Questo “peccato originale”, rubandoci la consapevolezza del tempo limitato di cui disponiamo, inquina i nostri rapporti umani togliendoci gran parte della gioia e serenità che ci sarebbe toccata.
Sappiamo tutti che non è facile immergerci ogni momento nella consapevolezza della nostra caducità. Non è facile per uno che crede in Dio e non lo è per chi non crede a nulla.
Per il credente il trapasso dovrebbe essere un fatto del tutto naturale, la realizzazione di un atto di fede.
Per una tipologia di non credente (positivo) basta un comportamento corretto e onesto con le persone per la miglior convivenza possibile su questa terra; per un’altra (negativo) è lo sfruttare tutte le occasioni piacevoli che si presentano perché con la morte si esauriscono tutte le possibilità.
In ogni caso per essere sempre pronti “con la valigia in mano” dovremmo essere Santi. E non è un’ affermazione di scoraggiamento o di impotenza bensì la presa di coscienza di essere imperfetti e di aver bisogno, i credenti, della misericordia di Dio per poter guadagnare la vita eterna, un equilibrio psico-fisico basato su ciò che è bene e ciò che è male, per i non credenti.
I non credenti (positivi) potrebbero dire: io sono onesto e vivo d’amore e d’accordo con tutti e faccio una vita serena fino alla fine dei miei giorni: il dopo non mi riguarda. Sappiamo però che nessuno è capace di non compromettere mai alcuna relazione per tutta la vita; e poi, quando è il momento, davanti al nulla, è così tranquillo il passaggio?
Lo strappo del distacco da questo mondo genera un sentimento di paura dell’ignoto, un sentimento umano che attesta la nostra fragilità: per mancanza di fede o perché la presunta razionalità non è in grado di spiegare questo mistero.
Solo una grande fede può alleviare il passaggio alla vita eterna. “Io invidio voi che credete nell’aldilà perché avete una speranza che io non ho” ebbe a dirmi un’amica un po’ di tempo fa. Questa è ciò che differenzia i credenti dai non credenti: la speranza che, sostenuta dalla fede, ci concede di prepararci, con trepidazione si, ma con la sicurezza sul nostro futuro. Tutto questo sarebbe automatico se fossimo davvero seguaci di Cristo; ma siccome siamo lontani dall'essere “trafitti” dalla sua passione, abbiamo paura della morte e continueremo ad averne fino a quando avremo accettato di averla a fianco sul cammino della nostra vita.
Infatti “prima di essere credenti dobbiamo essere credibili” ci diceva P. Abramo agli esercizi spirituali, e per essere credibili bisogna essere esemplari col proprio comportamento quotidiano.

Se la morte ci accompagnasse come un Angelo custode potremmo anche scherzarci insieme e, come nella barzelletta, dirle: “Diga al Signur che ta met mia troat”. Potremmo scoprire che a non demonizzarla riusciamo a campare di più.