La coperta
corta dell’INPS assomiglia molto al cane che si morde la coda. L’Istituto, tacendo
sulla necessità di separare la “previdenza” dall’ “assistenza”, asseconda gli esecutivi
nell’idea ottusa di mescolare interventi diversi che creano confusione e non
permettono una corretta informazione sulla reale situazione dei conti e della
sostenibilità della spesa pensionistica.
La differenza tra assistenza e previdenza nasce
dall’articolo 38 della nostra Costituzione che identifica la prima nel capitolo
1 e la seconda nel capitolo 2.
L’assistenza ha come
obiettivo quello di tutelare i soggetti in condizioni di bisogno ed è attuata
direttamente dallo Stato, Regioni ed Enti Locali con risorse derivanti da
imposte. Può esplicarsi in forme diverse: economiche o prestazioni sociali.
La previdenza si basa, invece, su
prestazioni derivanti esclusivamente dai contributi versati durante l’attività
lavorativa (da parte dei lavoratori e dei datori di lavoro). Si tratta, in
sostanza, di un salario “differito”.
Tutti devono
poter vedere quanto sia falsa l’dea che il sistema di previdenza (cioè la
raccolta dei contributi dei lavoratori impiegati per il pagamento delle
pensioni regolari) sia in deficit, e quanto pesa invece l’assistenza per tutti
gli altri interventi che sono stati appioppati all’Istituto, come la Cassa
Integrazione, le integrazioni pensionistiche, l’invalidità civile, le indennità
di accompagnamento e tante altre voci. Vogliamo affidare tutto all’Inps?
Facciamolo pure, mantenendo però separate le gestioni in modo che ognuna sia sempre
trasparente e quando si parla di pensioni si sappia sempre se sono sostenibili
o per quanto non lo sono, lasciando alla fiscalità generale quello che non
attiene al sistema.
Se tutta la propaganda a scapito
dei pensionati fosse fatta a favore della trasparenza, nei fatti e non nelle
parole, troveremmo molte più persone di buon senso a fare proposte affinchè i
conti possano tornare e i problemi risolti.
In questo momento c’è sul tavolo
dell’esecutivo la richiesta di bloccare l’automatismo che porta ad andare in
pensione più tardi quando l’aspettativa di vita aumenta. Il presidente Inps se
l’è cavata con un “…guardiamo il bicchiere mezzo pieno: campiamo di più”; se
avesse fatto il camionista o l’addetto alle colate o il muratore quella battuta
se la sarebbe risparmiata. I numeri non hanno sentimenti, sono freddi nella
loro espressione e se si guardano senza tener conto da dove provengono e cosa
devono generare tolgono qualsiasi contatto con la realtà e ai bisogni dei quali
la società è permeata.
La spasmodica ricerca di voti,
come sterco del diavolo, impedisce un civile confronto sulla “coperta
disponibile” per cercare una soluzione che rispetti giustizia e solidarietà. La
nostra è una società perversa nella quale non si può togliere a chi ha di più
per dare a chi ha di meno senza sollevare ricorsi alla Corte di Strasburgo. Non
si possono limitare i privilegi, che sono ancora tanti, senza che si alzi il
grido “non si toccano i diritti acquisiti” ma ancora nessuno è riuscito a
spiegare la differenza tra il grido dei ricchi e quello dei poveri elevatosi
dopo la spietata Legge Fornero.
Buonismo, clientelismo,
opportunismo, servilismo, disfattismo, insieme alla miopia dovuta alla gestione
del potere, continuano ad impedire la risurrezione di una nazione come l’Italia
che potrebbe benissimo vivere nel benessere assicurando giustizia e
solidarietà. Si dà spesso la colpa alla burocrazia senza tener conto dell’opposizione
che le forze politiche hanno frapposto ad ogni tentativo di semplificarla
veramente.
A nessun giornale o testata
televisiva, men che meno ai politici, interessa studiare la solidarietà offerta
dagli italiani al terzo settore, solidarietà economica e prestazioni di
volontariato; se lo facessero scoprirebbero quanto è viva l’aspirazione a una
vita sociale moderna e rispettosa della dignità di ognuno. Ma questo traguardo
di maturità pretende che le Istituzioni per prime diano l’esempio e abbandonino
la sterile polemica politica per risolvere uno ad uno i problemi che sono sul
tavolo: quello della previdenza è uno dei più importanti.
La richiesta di bloccare
l’automatismo di uscita dal lavoro è fattibile? A mio parere in questa prima
fase non è possibile se non per pochissime categorie usuranti, e anche in questo
modo non è facile trovarne la copertura, ma ci si può arrivare. Come?
Innanzitutto mettendo mano alla riforma della Giustizia per avere tempi certi
(e corti) per ogni grado di giudizio. In secondo luogo le leggi dovrebbero poter
essere applicate dai giudici immediatamente e non interpretate a seconda di una
propria dottrina. Ogni rappresentante dei cittadini, eletto ad ogni livello, dovrebbe
essere sospeso senza compenso subito dopo la condanna di primo grado; qualora
fosse dimostrata la sua innocenza nei gradi successivi, dovrebbe aver diritto
agli arretrati e all’integrazione nel suo ruolo per tutto il periodo di
legislatura che gli è stato sottratto sottoponendosi alla procedura
giudiziaria. Fatta una giustizia così non dovrebbe essere difficile passare a
ulteriori passaggi legati a minori spese e a maggiori incassi. Le minori spese
potrebbero essere, per esempio, l’abolizione dei bonus a pioggia, la riduzione
delle detrazioni fiscali per interventi non strategici, la riduzione degli
interventi militari all’estero e la dismissione di tutte le strutture militari
non più necessarie a mantenere il grado necessario di difesa nazionale. Le
maggiori entrate potranno essere assicurate da un maggiore controllo
investigativo sui patrimoni per reprimere l’evasione, ancora molto elevata;
un’altra fonte potrebbe derivare da un’imposta di solidarietà sui patrimoni più
alti su base famigliare (come l’ISEE) e l’aumento del costo orario per i lavori
prestati per breve periodo. Sicuramente le risorse non basteranno ancora, ma
dopo queste iniziative la concertazione con le parti sociali saprebbe
recuperare la differenza.
Mafia in genere e corruzione se
debellate risanerebbero in breve l’Italia dal debito pregresso e la lancerebbe
nell’Olimpo dei virtuosi. Ciò significa che maggiori controlli assicurano
maggiori entrate a prescindere, oltre che a creare maggiore sicurezza. Maggiore
sicurezza accompagnata da una snella burocrazia attirerebbe interesse internazionale
e quindi ulteriori risorse. Invece che
migliorare la macchina dello Stato si continua a perseguire la riduzione delle
spese nei servizi essenziali aggravandone il costo per il cittadino che si
impoverisce, poi diamo il bonus per compensare quello che abbiamo tolto.
Riepilogando: se non si fanno
controlli per recuperare imposte evase, non si ha coraggio di imporre
solidarietà ai ricconi, si sperperano risorse pubbliche, non si ha una
giustizia giusta e non si hanno politici esemplari è meglio fare fagotto e
lasciare che altri si cimentino a guidare l’economia nazionale, perché
matureremo la pensione dopo morti e vana sarà la speranza di trasformare il nostro
paese in una macchina moderna studiata (ricerca), collaudata (aiutata) e
produttiva (perfetto equilibrio tra ottimi servizi erogati e costi sostenuti).