Su un piccolo libro,
tanti anni fa, l’ing. Luciano Silveri, padre del teleriscaldamento a Brescia,
riportava le vicissitudini di un gruppo di giovani che lui seguiva all’Ospedale
Civile di Brescia, condannati a morte da grave malattia; uno di questi giovani,
in occasione di una gita che l’ingegnere organizzava quando le condizioni lo
consentivano, meditando sul comportamento delle persone che incontrava, ebbe a
dire: “Sono io che non ho capito nulla o quelle persone vivono con la testa nel
sacco?”.
Parole dette da una
persona che sa di avere il tempo contato ma, proprio per questo, profondamente
attaccata alla vita. Mi viene in mente “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi
Pirandello dove è narrata la storia di un uomo, pure condannato a morte da una
dolorosa malattia, che si sofferma a pesare la sua esistenza, il tempo che gli
rimane e il comportamento di chi gli passa accanto.
In entrambi i casi io
sono uno che queste persone vanno incontrando. Come appaio loro? Sto bene (con
qualche piccolo disturbo dovuto al naturale logorio degli anni), non ho
pressanti problemi economici, non ho più bisogno di lavorare perché ho la mia
piccola pensione, i figli grandi hanno fatto famiglia; ho tempo per riflettere
sul tempo che mi resta da vivere e che potrebbe essere anche molto poco.
Potrebbero vedermi come “osservatore poco impegnato” quando rifletto sulle vicissitudini
socio-politiche del mio paese o dell’Italia e le faccio conoscere su face book;
un “idealista” o un “incompetente” in base al contenuto delle mie riflessioni;
un “bastian-contrario” se pensano che non sono mai d’accordo con nessuno; un
“bigotto” quando difendo i principi fondamentali del cristianesimo: Dio, vita, famiglia;
un “populista” quando mi scaglio contro l’inefficienza della “casta”;
“individualista” perché non faccio parte di nessuna organizzazione; “vanitoso” perché
mi piace comparire; “moralista” perché
avrei sempre qualcosa da insegnare agli altri; “ipocrita” perché cerco di
mostrarmi fuori quello che non sono dentro; ma anche un “romantico” se mi
vedono godere il mio giardino; un “nonno” se mi vedono giocare coi nipotini.
Come persona piena di
difetti, mi porto un po’ di tutto questo. Una valutazione superficiale spesso però
trae in inganno e induce a vedere solo ombre nella persona che si incontra; solo le persone che ci sono state vicino a lungo ci conoscono per quello che
realmente siamo. Se siamo veramente “poco impegnati”, “idealisti”, “incompetenti”,
“bastian-contrari”, “bigotti”, “populisti”, “individualisti”, “vanitosi”,
“moralisti”, “ipocriti”, o se invece facciamo del nostro meglio per dare il
nostro contributo secondo i nostri principi, senza seguire la massa che segue il
comportamento “del così fan tutti”. Se anche quelli che ci conoscono bene non
trovano in noi delle qualità e te lo fanno capire, allora è proprio il caso di farci dei grossi
interrogativi.
Guai a me e guai a
tutti quelli che non lasceranno un segno del loro passaggio su questa terra.
Non siamo nati per caso ma per volere di Dio e a Lui dovremo rendere conto dei
talenti ricevuti.
Ci sarà l’amore in
cima all’ “interrogatorio”! Spesso quanto sappiamo amare appare dai musi lunghi
che i “condannati a morte” citati sopra notano immediatamente. I nostri Pastori
ci hanno insegnato che amare vuol dire perdonare, anche quando non si capisce
perché abbiamo ricevuto un torto. Essere aperti alla riconciliazione ci
consente di essere sereni e mantenere le nostre relazioni nelle quali possiamo
esercitare l’abitudine al sorriso e alla concordia. Magari scopriremo che non
occorre andare di fretta per fare tante cose ma che è meglio valorizzare il
nostro tempo per farne alcune bene, specialmente se rivolte alla famiglia.