mercoledì 18 dicembre 2024

TRASCORRERE IL NATALE CON IL CUORE ALTROVE

 


Anche l’Avvento è stato immolato sull’altare del commercio. L’ho pensato quando la commessa della farmacia mi ha proposto “la bellezza dell’avvento”, una scatola rosa sotto le
cui finestrelle si trovano creme per combattere le rughe e i radicali liberi. 

Le quattro settimane che la liturgia cristiana dedica alla preparazione spirituale per la nascita del Bambinello sono state omogenizzate nel frullatore del black Friday e nel centro, le luminarie rischiarano anche una realtà sgualcita composta da tanti disperati che rendono quasi palpabile il loro disagio. 

Mentre ci si concentra sull’ultimo libro, su mutande di pizzo o sul portafogli da regalare, viene distolto il pensiero dalla coscienza. Si chiudono gli occhi sulle tragedie lontane e le povertà che ci passano accanto, convinti che vengano risolte con un pasto caldo o un letto improvvisato. 

Come in un film visto mille volte i drammi camminano sottobraccio all’indifferenza. Temo saranno i bambini che patiscono il freddo e la disumanità a farne memoria. Un giorno non troppo lontano ci chiederanno: “Tu cosa hai fatto mentre succedeva tutto questo? Hai un alibi?”. Saremo costretti a uscire dalla nostra confort zone e ammettere di aver agito poco, sicuramente non abbastanza, poiché non ci dovremmo sentire estranei quando si è chiamati a dare una mano per questioni umanitarie. Troppi si nascondono dietro un “alibi”, parola latina che significa altrove, poiché essere da un’altra parte consente di assumere la posizione più comoda. Questo vale soprattutto per coloro che dicono di non sopportare la guerra, l’esclusione e la crudeltà e, per tale ragione, finiscono per occuparsi solo del proprio orticello, scaricando sugli altri il dovere morale di aiutare a migliorare le cose. 

Non ci si può chiamare fuori prendendo in considerazione solo i pezzi di mondo ritenuti sicuri dalla Farnesina, poiché la mappa dei luoghi pacifici è variabile come il tempo. Gli scampoli di pretesto non ci alleggeriscono dalle responsabilità verso i più fragili, siamo immischiati non solo quando la perdita del posto di lavoro ci riguarda direttamente o coinvolge persone che conosciamo da vicino. 

La Natività quest’anno assomiglia alla piccola Yasmine, raccolta in mare intirizzita al largo di Lampedusa. Con il grande dono della vita trascorrerà il Natale con il cuore altrove, nella sua casa in Africa, dove se per restare serve un alibi, per partire bisogna avere la sorte a favore e il coraggio di andare contro vento.

Augusta Amolini

Giornale di Bs 18/12/2024

venerdì 13 dicembre 2024

POTENTI E ... IMPOTENTI

 

Come tutti i nonni, in questo periodo, sono occupato con mia moglie nella ricerca di regalini e dolci per figli e nipoti. Nei negozi è un viavai di persone con i carrelli pieni di cose, sia nei negozi a basso prezzo che in quelli griffati. Ci muoviamo tutti ignari di quello che ci circonda, come se tutti noi fossimo protetti da chissà quale campana. Eppure, i telegiornali non ci fanno mancare nulla della instabilità dei grandi Paesi che contano. Dovremmo avere ben chiaro, ormai, che ci sono attori molto pericolosi nel Mondo, che sono in grado di scatenare il peggiore dei conflitti mai registrato sulla terra. “Sanno di rischiare anche loro e non oseranno”, dice qualcuno. Siamo così sicuri? Quando le minacce si ripetono ogni giorno non è da escludere che qualche irresponsabile faccia un passo falso segnando l’inizio della catastrofe. Siamo circondati da guerre e da molte persone disperate disposte a tutto pur di sopravvivere, anche difendendo “pazzi scatenati”. Dunque, mi chiedo: sappiamo veramente dove stiamo andando? Persino nelle chiese mancano le novene, le preghiere e le implorazioni per la pace; solo il Papa continua a ripetere che “la guerra è sempre una sconfitta”.

I cristiani sanno che da qualche parte è scritta la data che segnerà la fine dell’esistenza umana, ma ugualmente si comportano come se non dovesse succedere mai.

Coloro che non credono fanno spallucce sorridendo per queste ingenuità da medioevo convinti che è qui e oggi che dobbiamo sviluppare le nostre potenzialità raccogliendo ciò che l’umanità ci mette a disposizione finché siamo in vita.

Ma nei cieli, in terra, sottoterra, e nei mari ci sono arsenali con armi pronte a far fuoco! Chi è più debole e chi è più forte? Chi può impedire un atto dimostrativo a colui che si crede forte? E poi cosa succede?

Catastrofismo o realismo? Mi rendo conto che la convinzione generale sia quella di essere impotenti e quindi di vivere al meglio il presente fidando che i governanti siano in grado di bloccare gesti sconsiderati. Tuttavia, il rischio esiste, ed è quotidiano. Dal momento che siamo impotenti è utile non disperarsi e continuare a fare la nostra vita in modo consapevole: preparati al peggio per apprezzare meglio le persone che abbiamo accanto e le qualità che ci sono state donate.

Abbiamo sempre saputo che la vita di ognuno ha un termine, più o meno lungo, che gli concede di lasciare qualche segno positivo del suo passaggio su questa terra; camminando ora sul filo del rasoio, a maggior ragione abbiamo molto da riflettere su quello che sta accadendo in tutto il mondo. Basta minimizzare! È il momento di sfruttare tutte le qualità e capacità del nostro cuore per essere uniti e solidali ad affrontare il futuro.

Per noi cristiani la responsabilità sarà molto più grande se non eleveremo a sufficienza la nostra preghiera a Dio perché ci risparmi ancora una volta da un flagello di queste dimensioni (sempre se non siamo giunti alla data finale).

Infatti, noi sappiamo perfettamente che solo Dio vince l’ottusità umana e la nostra inclinazione al male. Solo Lui può trarci d’impaccio. “Pregate per non cadere in tentazione” diceva Gesù ai suoi “Vescovi” nel Getsèmani prima di essere messo in croce.

giovedì 21 settembre 2023

TENTAZIONE MISSIONARIA


Ho partecipato a una riunione di riflessione sull’Unità Pastorale, presieduta da prelati importanti che hanno già approfondito la tematica, e gli interventi, tutti pacati, hanno manifestato un grande interesse per quello che sarà la nuova comunità cristiana quando verrà a mancare il prete residente.

Dai relatori e dagli interventi, se ho capito bene, si è affermato che, quando questo accadrà, dovremo darci da fare per compensare la mancanza del sacerdote.

Ma io mi chiedo, per mantenere gli stessi banchi vuoti che c’erano prima? Per chi si accontenta può essere la soluzione, sempre che si riesca a fare comunità intorno ai soliti volti, noti per la loro dedizione. Penso invece che ci sia un’altra strada da percorrere molto più incisiva e aperta alla conversione nostra e di quelli che ci stanno vicino: approfittiamo dell’emergenza per mettere al centro dell’U.P. il sacerdote che diventa un nuovo missionario, che ha una sua casa, ma ha tante dimore (Mi riferisco ovviamente a quando ci sarà un unico sacerdote per tutto il territorio assegnato). Non so quante Messe potrà celebrare, ma dovrebbe restare sul territorio dell’ex Parrocchia, a turno, un po' di tempo per essere vicino, animare e suggerire proposte agli incaricati dell’apostolato, confessare e relazionarsi con la comunità.

Questo perché abbiamo un bisogno continuo che sia un “ministro” a dirci che stiamo sbagliando, che dobbiamo quotidianamente mettere al centro Cristo Crocifisso, che dobbiamo aprirci alla solidarietà e all’amore per i fratelli anche quando ci costa fatica, che ci dice parole di speranza quando siamo afflitti da gravi malattie o sferzati da disgrazie improvvise.

Pensare che ce la possiamo fare da soli, anche con tutta la buona volontà, mi pare sia molto illusorio; e non perché il prete sia il più santo di tutti, ma perché è il filtro tra Dio e noi ed è l’unico che non va mai contro le parole del Vangelo. Non mi sembra poco. Ho forti dubbi invece sull’accettazione eventuale di una simile proposta da parte dei sacerdoti.

Speriamo di essere solo agli inizi e il confronto prosegua per farci capire meglio non quello che andrebbe bene per noi ma quello che ci farebbe diventare, coi fatti, la Santa chiesa di Dio.

domenica 16 luglio 2023

UNITA’ PASTORALE - FACILE A DIRSI

 


Se mi permetto di formulare con convinzione il mio pensiero riguardo a questo tema non è certo per correggere le teorie di qualcuno, non ho né le capacità né le competenze, semplicemente rifletto su come sarà la mia vita quando Nave sarà il centro pastorale della nostra zona.

L’odierna crisi profonda del Cristianesimo ha causato una contrazione delle vocazioni religiose senza precedenti. Tutto ciò ha sollevato, specie negli ultimi tempi, un grande dibattito sulle Unità Pastorali, che sono state chiamate ad organizzare il popolo cristiano su un’area più vasta della singola Parrocchia rimasta priva del sacerdote.

Una cosa che balza all’occhio immediatamente in questi dibattiti consiste nella formulazione del tutto teologica, come se la conoscenza delle “Verità” bastasse a “sostituire” il sacerdote ed a ricostruire la Chiesa locale. Se neanche quando avevamo tanti sacerdoti non siamo riusciti ad essere veramente Chiesa, mi chiedo come lo possiamo diventare ora sulla scorta di possibili bravi maestri. In tutto lo sforzo profuso nel dibattito manca una qualità essenziale che da soli non possiamo darci: la carità.

Può darsi che sia in errore, ma a mio parere è proprio la poca attenzione che abbiamo dedicato a questa virtù che ci ha condotto nella situazione di crisi attuale. Da anni le chiese vanno svuotandosi e noi tutti abbiamo fatto poco perché le nostre convinzioni religiose annacquate riacquistassero sapore riversando un po’ di attenzioni ai nostri fratelli. Perché essere Chiesa significa prima di tutto essere fratelli e saper vivere da fratelli. Fare ogni sforzo possibile per superare gli ostacoli che lo impediscono. Scoprire di essere orgogliosi di essere cristiani. Forse nel nostro esame di coscienza ci saremo ritenuti poveri e peccatori e quindi non avevamo nulla da dire a quelli che ci stavano accanto; può darsi che le nostre convinzioni siano state poco profonde; magari non avevamo il coraggio di far notare il nostro disagio. Comunque sia nessuno di noi ce la può fare a vivere da buon cristiano senza l’aiuto di Dio, e dei fratelli che Lui ci ha messo accanto. Ecco perché il Sacerdote è importante: è il Ministro che ha il dovere di istruirci ad essere fratelli, nonostante il nostro stato, a saper superare i nostri difetti, ma senza offrire indulgenza a chi annacqua ciò che è Sacro. A dirci che il partecipare alla Santa Messa non è un dovere settimanale da assolvere senza calore, ma un evento che dovrebbe essere quotidiano e pieno di gioia. Se le nostre comunità provassero veramente questa gioia, quanto migliori sarebbero i rapporti fra di noi e, magari, nascerebbe anche qualche vocazione religiosa. Quante cose si dovrebbero dire sulla Messa, (anche con un po' più di entusiasmo da parte degli officianti) per scaldare l’Anima intorno alla potenza di quel Santo Rito.

Vogliamo sostituire il sacerdote in nome di una comunità autonoma? E con chi? È già una disgrazia rimanere senza sacerdote! Senza di lui noi siamo umanamente più fragili agli attacchi di Satana, e dovremmo tutti convenire quanto sia scatenato in questi tempi. Il pensiero di rimanere senza Messa dovrebbe spaventarci. Chi ci aiuterà a mantenerci sulla strada maestra dove Gesù, gli Angeli, i Santi, le Anime del Purgatorio e il Santo Padre ci aiutano ogni giorno a vanificare tutti i tentativi messi in atto dal demonio per portarci alla dannazione? Se viene a mancare il sacerdote non ci può bastare un teologo, ci occorre una persona buona ed esemplare che sappia essere “padre e madre” e funga da cordone ombelicale con il sacerdote incaricato di prendersi cura di questa nuova entità.

Non la vedrei quindi come questione di Fede, che pur sempre deve ispirare i comportamenti del cristiano, bensì la necessità di vivere quotidianamente da fratelli, ciascuno nel proprio ambito, aperti alla carità fraterna e alla solidarietà verso chiunque si trovi nel bisogno. Forse allora la Messa si dimostrerebbe quello che veramente è: memoria viva della morte e Risurrezione di chi ci amò fino alla fine, che ci riscattò dalla nostra superbia e ci preparò un luogo di eterna beatitudine ed ogni giorno ci offre tutta la Sua assistenza per raggiungerlo, perché non vuole che nessuno vada perduto. La Messa è tutto questo e, pur con tutti i nostri difetti umani, non può non dare gioia e serenità frequentarla, altrimenti c’è qualcosa che non va.

lunedì 27 marzo 2023

L’EUROPA DI TUTTI E DI … NESSUNO

 
In tanti Stati del mondo è palesemente violato il diritto alla giustizia e alla pace mediante una crudele repressione delle persone che protestano contro la violenza e la sopraffazione.

Le nazioni occidentali, come l’Italia, nonostante i proclami, non incidono minimamente sui comportamenti degli autocrati che, oltre a non voler sentir ragioni su quello che loro considerano affari interni, continuano a sedersi tranquillamente nelle organizzazioni mondiali ed a tessere relazioni di ogni tipo in grado di procurar loro un qualche tornaconto (Russia, Cina, India, Corea del Nord, Gran parte dell’Africa, Iran, Arabia Saudita, Pakistan, ecc.).

Singolarmente ogni Stato che abbia a cuore la salvaguardia della democrazia e la salvaguardia dei diritti umani, non può che guardare impotente alle violenze e alle ingiustizie che ogni giorno opprimono una gran parte del mondo. Così continua a muoversi rassegnato a non contare nulla sullo scacchiere mondiale.

EUROPA

Il vecchio continente ha avuto tutto il tempo per trasformare gli interessi economici in forza propulsiva che potesse generare una federazione di Stati ben coordinati e che avesse una voce sola e non l’ha fatto: hanno prevalso supremazia, sospetti e distinzioni, con il risultato di avere un continente che non sa reggere la forza d’urto degli altri continenti.

Politica estera uguale a zero; politica sulla difesa uguale a zero (solo Nato a trazione americana); affari economici senza una visione comune; politica energetica ognuno per sé; politica sociale che non sa fare sintesi tra gli Stati membri.

L’assenza dell’Europa pesa moltissimo nelle decisioni che vengono prese per fronteggiare avvenimenti e “teste calde” nel mondo. Infatti, non è possibile dare per scontato che la Nato sia in grado di fronteggiare la complicatissima rete di rapporti commerciali e sociali di tutto il mondo. Questa organizzazione è sostenuta economicamente in maniera preponderante dagli Stati Uniti, come possiamo pensare che non abbiano un occhio di riguardo per i loro interessi, in assenza di un’unica voce dell’Europa? E poi, siamo sicuri che il tipo di relazioni che ha l’Europa con gli altri Stati sia sovrapponibile a quello americano?

Con questo non vogliamo togliere nulla all’importanza che assume per noi l’alleanza con gli Stati Uniti. Senza il loro aiuto noi oggi saremmo una colonia, non lo dobbiamo dimenticare mai, tuttavia, giustamente, gli americani sono stufi di morire per gli “altri” ed è più che logico che il loro agire sia legato non solo alla “gloria” ma anche alla conquista di qualche vantaggio nazionale.

 

MANI LEGATE

In questa situazione ci troviamo a dover scegliere tra la protesta (che sarebbe dovuta) e gli interessi economici nei quali sono interessate molte delle nostre imprese. Imprese di tutta Europa che lavorano in Stati canaglia che ci ingolosiscono con commesse di ogni genere, comprese le armi (vedi Egitto e caso Regeni).

La fame energetica è un’altra necessità frenante e la maggior parte degli Stati non sta a guardare se il fornitore è un buon padre di famiglia o un despota. Si adeguano di volta in volta in base alla necessità del momento (prima la Russia poi Libia, Algeria, Tunisia, che ci danno gas e petrolio, ma non ci aiutano a prendere gli scafisti).

È da addebitare agli Stati canaglia il crescente flusso migratorio; hanno meno persone da assistere e una capacità ricattatoria maggiore verso gli Stati che commerciano con loro materie prime essenziali. Anche in questo caso l’assenza di una comune politica migratoria dell’Europa ci espone non poco ai ricatti, anche di Paesi Nato (vedi Turchia che a seconda delle convenienze minaccia di aprire all’esodo i suoi confini). Come possiamo pensare di accusare una nazione alleata? Alleati e nemici contemporaneamente.

Nell’ONU e OCSE siedono anche rappresentanti che non brillano come tutori dei diritti umani, un tributo da pagare alla diplomazia che annaspa e non sa darsi delle regole certe per l’opposizione o il veto di qualcuno. La regola che impera pare sia sempre quella: per qualche dollaro sono disposto a scambiarti per un fautore della democrazia anche se hai le mani sporche di sangue.

Per la difesa dei diritti umani non ha regole precise l’Europa, che commette reati facendo soffrire persone che scappano dalle guerre e dalla fame, non hanno regole efficienti nemmeno gli organismi internazionali che al loro interno subiscono condizionamenti di ogni sorta.

Oriente e occidente si fronteggiano per predominare nel mondo e, se troveranno un’intesa, sarà un intervallo breve, il tempo per guadagnare qualche posizione, diplomatica o economica. Per avere una tregua prolungata bisognerebbe che la Russia, la Cina e molti Stati dell’Africa non governassero imprigionando i dissidenti. L’Africa, infine, non dovrebbe essere colonizzata dalla Cina, dalla Russia e … dalla Turchia. Si sta cercando di marcare nuovi confini nel mondo che di internazionale ha ben poco.  

 

TRIBUNALE INDIPENDENTE

La complessità e la delicatezza della diplomazia mondiale hanno partorito delle regole farraginose che consentono, ancora oggi, ai vincitori della II guerra mondiale + Cina di manovrare a loro piacimento a favore o contro qualcosa in base ai loro interessi. Questo non rende giustizia! Anche se cercare una qualche via di uscita rientra nel campo delle utopie, sarebbe auspicabile che all’interno dell’ONU venisse creato un Tribunale indipendente in grado di raccogliere prove e condannare (non solo a parole) i rappresentanti di quegli Stati che si fossero macchiati di reati contro l’umanità, penalizzando adeguatamente quelle nazioni. Simile alla Corte Internazionale dell’Aja, ma più allargato e reso più indipendente da regole uguali per tutti. Ma non ci crede nessuno.


domenica 26 febbraio 2023

IL SOLITO PROVOCATORE

 


Si sente parlare spesso di comunità, di cittadini, ma noi, ci conosciamo? Solo i ragazzi e i giovani si conoscono in tanti e abbastanza bene da condividerne idee e speranze, agli adulti è noto solo qualche anagrafica, e poco più.

Noi adulti abbiamo ereditato l’omertà e ci destreggiano tra i nostri simili cercando di mantenere sempre quel poco di vantaggio che ci permetta, tacendo, di ottenere qualche beneficio. Non occorre molto per dimostrarlo. I nostri politici locali, ad esempio, è da decenni che si presentano con un programma alle elezioni senza mai aver fatto sentire la loro voce durante il quinquennio (a parte qualche comunicato). Negli altri paesi è lo stesso. Quindi che ne sappiamo delle persone che chiedono il nostro voto? Tutti cercano di mostrare il loro specchietto delle allodole con lo scopo di coprire gli altri candidati che, presi uno ad uno, sconosciuti circa i loro interessi e le loro opinioni, non sarebbero mai eletti, ma dietro lo specchietto …

Non è forse vero che la nostra scelta elettorale si basa più sull’amicizia che sulle capacità? Sulla simpatia e non sulle idee? Sul possibile tornaconto anziché sul dinamismo propositivo del candidato?

Siamo ritornati ai tempi delle crociate! Ognuno è buono e gli altri sono cattivi. Ma ogni “buono” continua a fare errori, qualunque sia la sua casacca. Nessuno è buono se non è aiutato ad esserlo dagli altri, buoni e cattivi. Ma perché questa speranza si renda possibile è necessario che la famiglia e la scuola promuovano a pieni voti il confronto dialettico tra le persone come metodo salutare di integrazione, di rispetto e, quando possibile, di collaborazione.

Abbiamo promosso invece i social a mezzo di comunicazione di massa, col risultato di farci trascinare dall’onda dei like invece che da ragionamenti messi a confronto. Se oggi non c’è più un valido e battagliero Movimento studentesco” vuol dire che tutta la società si è seduta ad aspettare che il mondo politico torni ad infiammare i suoi elettori rimpossessandosi dei sani ideali dei quali è stato un tempo portatore. Infatti, sei elettori su dieci non vanno a votare.

Si dirà che votare è un dovere civile. Vero, ma non lo è altrettanto (e in modo maggiore) quello del politico di dare soluzioni ai problemi del proprio Comune e del proprio Paese? Non si dovrebbero preoccupare i politici della loro scarsa rappresentanza? Invece che fanno? Contenti di aver conquistato il “potere” fanno di tutto per conservarlo continuando le loro “beghe” e lasciando i problemi senza soluzione. Pensano forse che le persone non si rendano conto di quanto siano irrealizzabili talune promesse elettorali? Possibile che non comprendano che il cittadino ha bisogno di essere rassicurato da progetti concreti che tengano conto della nostra fragilità economica?

Ecco, quindi, che il nostro dovere sarebbe quello di sollecitare la Politica a trasformare i titoli in soluzioni, iniziando da quelli che hanno la priorità. Favorire le nascite significa agevolare le famiglie in modo adeguato con asili nido e sostegni; aumentare l’occupazione significa avvicinare la scuola professionale alle aziende favorendone l’integrazione con aiuti adeguati; sviluppare l’economia significa finanziare la ricerca e pagare meglio i ricercatori (per avere ricercatori validi occorre premiare le capacità e il merito degli studenti); avere una buona sanità significa avere medici in misura sufficiente per coprire la rete dei servizi; per evitare i disastri ecologici non basta la burocrazia ma i controlli sul territorio e interventi per mettere in sicurezza le zone a rischio; ecc…

Naturalmente queste cose sono note, ma la risposta lo è altrettanto: “Non ci sono i fondi”. Verrebbe da ridere, se non fosse tragico e fonte di tragedia per tante persone; nei programmi elettorali vengono spesso introdotte voci per spese aggiuntive (Flat tax, abbassamento dell’età pensionabile, asili gratuiti per tutti, riscatto gratuito della laurea, per esempio), oscurando i capitoli più importanti e prioritari per il cittadino medio.

Quando rivedremo i rappresentanti politici sedersi al tavolo tra i loro elettori a parlare del loro impegno riguardo ai punti del programma con il quale sono stati eletti, allora la speranza che il “Palazzo” si avvicini al cittadino sarà concreta. Fino ad allora, cari politici, non vi conosciamo!

domenica 19 febbraio 2023

DOTE DI ETERNITÀ

 


Ancora una volta la naturalezza della vita mi ha dato una lezione da non dimenticare. In mattinata (18/2/2023) mi sono recato all’Ospedale Civile di Brescia per partecipare all’inaugurazione di una nuova ala, finanziata dall’AIL attraverso i suoi sostenitori, per i pazienti affetti da malattie del sangue, leucemia, ma non solo. 

Camici bianchi e un buon numero di rappresentanti delle varie associazioni sostenitrici del progetto, si sono radunati nell’atrio del 4° piano della Scala 2 per la benedizione e il taglio del nastro da parte del Vescovo Pierantonio Tremolada. 

La presentazione da parte del dott. Navoni dei risultati ottenuti grazie alla generosità di molti, si è svolta in modo molto semplice e famigliare, come del resto tutta la cerimonia. Ma quello che più mi ha colpito è stata l’atmosfera che quell’evento ha portato con sé. Mi ha indotto a pensare che anche tutti gli altri momenti d’incontro tra queste persone (io faccio eccezione perché presente solo formalmente) ripeta le medesime sensazioni. Il sorriso, l’interessamento misto di leggera tristezza, ti fa sentire subito partecipe, uno di famiglia. 

Questo disinvolto atteggiamento si è reso possibile perché il dolore provocato dalla malattia di un congiunto (o per sé stessi) ha fatto cadere quelle barriere delle quali ci circondiamo per difenderci, o per non fare spazio agli altri. Il dolore ci rende tristi ma, nello stesso tempo, ci fa allargare lo sguardo sulle relazioni autentiche e ci apre il cuore verso chi è nel bisogno. È una forma di compensazione naturale, una sorgente di umanità, la ricerca di quello che è essenziale nella vita, che va oltre la malattia. 

Questo è l’insegnamento: bisogna vivere per quello che conta veramente. 

Un paziente oncologico, dopo aver osservato a lungo il comportamento delle persone, disse: “Vivono come se non dovessero morire mai!” Quanta verità in questa breve frase. Lui che sapeva di avere il tempo contato, aveva estratto dalla vita le cose essenziali: l’amore per chi era disposto a stargli accanto, il desiderio di trasmettere agli altri la propria voglia di vivere, la bellezza di un sorriso contagioso, la spontaneità dei bambini, le meraviglie della natura, afferrare a piene mani ogni momento che rimane da vivere. 

Dispiacerà alla categoria, ma se la maggior parte della popolazione mondiale imparasse a vivere così, psicanalisti e psichiatri chiuderebbero bottega. Inoltre, in mancanza di persone “perse” verrebbero a mancare i provocatori di guerre, piccole e grandi, e su tutto il pianeta splenderebbe un arcobaleno di pace. 

Utopie? No! È un sogno che solo le persone che hanno conosciuto il dolore realizzano dentro sé stessi, una dote di eternità.