Ancora una volta la naturalezza della vita mi ha dato una lezione da non dimenticare. In mattinata (18/2/2023) mi sono recato all’Ospedale Civile di Brescia per partecipare all’inaugurazione di una nuova ala, finanziata dall’AIL attraverso i suoi sostenitori, per i pazienti affetti da malattie del sangue, leucemia, ma non solo.
Camici bianchi
e un buon numero di rappresentanti delle varie associazioni sostenitrici del
progetto, si sono radunati nell’atrio del 4° piano della Scala 2 per la
benedizione e il taglio del nastro da parte del Vescovo Pierantonio Tremolada.
La presentazione da parte del dott. Navoni dei risultati ottenuti grazie alla
generosità di molti, si è svolta in modo molto semplice e famigliare, come del
resto tutta la cerimonia. Ma quello che più mi ha colpito è stata l’atmosfera
che quell’evento ha portato con sé. Mi ha indotto a pensare che anche tutti gli
altri momenti d’incontro tra queste persone (io faccio eccezione perché
presente solo formalmente) ripeta le medesime sensazioni. Il sorriso,
l’interessamento misto di leggera tristezza, ti fa sentire subito partecipe,
uno di famiglia.
Questo disinvolto atteggiamento si è reso possibile perché il
dolore provocato dalla malattia di un congiunto (o per sé stessi) ha fatto
cadere quelle barriere delle quali ci circondiamo per difenderci, o per non
fare spazio agli altri. Il dolore ci rende tristi ma, nello stesso tempo, ci fa
allargare lo sguardo sulle relazioni autentiche e ci apre il cuore verso chi è
nel bisogno. È una forma di compensazione naturale, una sorgente di umanità, la
ricerca di quello che è essenziale nella vita, che va oltre la malattia.
Questo
è l’insegnamento: bisogna vivere per quello che conta veramente.
Un paziente oncologico,
dopo aver osservato a lungo il comportamento delle persone, disse: “Vivono come
se non dovessero morire mai!” Quanta verità in questa breve frase. Lui che sapeva
di avere il tempo contato, aveva estratto dalla vita le cose essenziali: l’amore
per chi era disposto a stargli accanto, il desiderio di trasmettere agli altri
la propria voglia di vivere, la bellezza di un sorriso contagioso, la
spontaneità dei bambini, le meraviglie della natura, afferrare a piene mani
ogni momento che rimane da vivere.
Dispiacerà alla categoria, ma se la maggior
parte della popolazione mondiale imparasse a vivere così, psicanalisti e
psichiatri chiuderebbero bottega. Inoltre, in mancanza di persone “perse” verrebbero
a mancare i provocatori di guerre, piccole e grandi, e su tutto il pianeta
splenderebbe un arcobaleno di pace.
Utopie? No! È un sogno
che solo le persone che hanno conosciuto il dolore realizzano dentro sé stessi,
una dote di eternità.