lunedì 9 gennaio 2023

CRISTIANI D’EUROPA - Ciò che è rimasto

 

Che cosa è rimasto delle preghiere per la “Chiesa del silenzio” raccomandate in tutte le Diocesi negli anni ’50?

Sembra una domanda banale, ma in realtà segnala il progressivo allontanamento dei cristiani dalla solidarietà … almeno quella morale.

I cristiani sono perseguitati ovunque fuori dall’Europa, eppure sono in pochi a rispondere alle loro invocazioni. Esiste solo quello che gira intorno a noi, che condiziona la nostra vita quotidiana; bendiamo gli occhi per non sapere la storia del prodotto che ci viene offerto sugli scaffali del supermercato a un prezzo allettante.


“È la globalizzazione”, siamo portati a dire: ma perché non viene invocata la “globalizzazione dei diritti”?

È più comodo difendersi dietro allo Stato laico; in questo modo, anche dove i diritti più elementari non vengono rispettati, si può commerciare qualsiasi cosa, anche gli esseri umani che ci stanno dietro, o quelli che fuggono in cerca di una vita più decente per sé e per le loro famiglie. Non ci tocca più di tanto neppure il caso che qualche italiano incappi nelle mani della “ingiustizia” di qualche nazione amica (vedi Regeni per il quale non vengono più appesi i consueti striscioni gialli che l’Egitto non gradisce).

Siccome però non viviamo di utopie, non possiamo basarci su chi ci governa, loro devono far coincidere l’interesse nazionale con quello internazionale, quasi mai con un rapporto di forza a nostro favore; conteremmo molto di più se, il cosiddetto “popolo”, recuperasse un po’ di memoria e ricordasse quanto siamo stati umiliati grazie a certi “governi”.

I cristiani potrebbero dare molto per la costruzione di una cultura della consapevolezza, della memoria e del diritto nella giustizia. Se non lo fanno, non solo dissacrano la loro esistenza a favore del laicismo, che già ha avviluppato la maggioranza degli abitanti del vecchio continente, ma concorrono nell’erosione dei principi sacrosanti validi per tutto il mondo con conseguenze distruttive, specialmente per le giovani generazioni (già ne stiamo vedendo alcune manifestazioni nelle tante guerre, nelle disuguaglianze sociali, nelle tragedie dovute ai cambiamenti climatici).

Se un uomo non è disponibile a correre qualche rischio per le proprie idee, o le sue idee non valgono nulla o è lui che non vale nulla. (Ezra Pound)

domenica 8 gennaio 2023

LA NOSTRA SANITA'

 



Il servizio sanitario italiano fornisce ai cittadini una copertura universale, in gran parte gratuita, oltre a una serie di servizi per persone affette a malattie croniche, completamente coperti.

Il cittadino italiano contribuisce al costo delle prestazioni sanitarie pagando il ticket, introdotto nel 1982. Questa è la teoria. La realtà, nel nostro Paese, sta assumendo forme che guardano agli Stati Uniti, pur nella sostanziale differenza tra i due servizi sanitari.

In pratica, anche in Italia, la spesa sanitaria, quella che il cittadino deve pagare di tasca propria, è in costante ascesa. Dall’ultima rilevazione della Ragioneria generale dello Stato, risulta che gli italiani per curarsi, oltre al ticket, pagano direttamente oltre 37 miliardi di euro, con la Lombardia al primo posto. Elementi che confermano sempre più i timori e le preoccupazioni del cittadino per il suo futuro “sanitario” così come si prospetta all’orizzonte.

Rimane forte l’amarezza nel ritenere che la spesa di tasca propria sia la più grande forma di diseguaglianza nella sanità, poiché mette i cittadini nella condizione di accedere alle cure solo in ragione della propria capacità reddituale, facendo venir meno i principi alla base del Servizio Sanitario Nazionale. Quel Servizio nato nel 1978 e di cui amiamo farci vanto con il resto del mondo.

I principi vengono meno quando sei sostanzialmente costretto a pagare una visita o un esame diagnostico di tasca tua perché le prima data disponibile con il Servizio nazionale è al di là di ogni possibilità di attesa.

Vengono meno quando la spesa sanitaria riconosciuta agli anziani ospiti nelle RSA non è sufficiente a garantire prestazioni adeguate alla loro fragilità.

Vengono meno quando nelle stesse RSA convenzionate i posti letto non sono sufficienti a dare risposta in tempi ragionevoli e le famiglie, che non sono più in grado di affrontare il peso di un’assistenza che deve essere qualificata e devono ricorrere a strutture non convenzionate con costi proibitivi. E chi non ha un reddito adeguato deve arrangiarsi.

Chi mai dovrebbe portarci come esempio?

Tratto da un articolo di

Anna Della Moretta