Il servizio sanitario italiano fornisce ai cittadini una copertura universale, in gran parte gratuita, oltre a una serie di servizi per persone affette a malattie croniche, completamente coperti.
Il
cittadino italiano contribuisce al costo delle prestazioni sanitarie pagando il
ticket, introdotto nel 1982. Questa è la teoria. La realtà, nel nostro Paese,
sta assumendo forme che guardano agli Stati Uniti, pur nella sostanziale
differenza tra i due servizi sanitari.
In
pratica, anche in Italia, la spesa sanitaria, quella che il cittadino deve
pagare di tasca propria, è in costante ascesa. Dall’ultima rilevazione della
Ragioneria generale dello Stato, risulta che gli italiani per curarsi, oltre al
ticket, pagano direttamente oltre 37 miliardi di euro, con la Lombardia al
primo posto. Elementi che confermano sempre più i timori e le preoccupazioni
del cittadino per il suo futuro “sanitario” così come si prospetta all’orizzonte.
Rimane
forte l’amarezza nel ritenere che la spesa di tasca propria sia la più grande
forma di diseguaglianza nella sanità, poiché mette i cittadini nella condizione
di accedere alle cure solo in ragione della propria capacità reddituale, facendo
venir meno i principi alla base del Servizio Sanitario Nazionale. Quel
Servizio nato nel 1978 e di cui amiamo farci vanto con il resto del mondo.
I
principi vengono meno quando sei sostanzialmente costretto a pagare una visita
o un esame diagnostico di tasca tua perché le prima data disponibile con il
Servizio nazionale è al di là di ogni possibilità di attesa.
Vengono
meno quando la spesa sanitaria riconosciuta agli anziani ospiti nelle RSA non è
sufficiente a garantire prestazioni adeguate alla loro fragilità.
Vengono
meno quando nelle stesse RSA convenzionate i posti letto non sono sufficienti a
dare risposta in tempi ragionevoli e le famiglie, che non sono più in grado di
affrontare il peso di un’assistenza che deve essere qualificata e devono
ricorrere a strutture non convenzionate con costi proibitivi. E chi non ha un
reddito adeguato deve arrangiarsi.
Chi
mai dovrebbe portarci come esempio?
Tratto
da un articolo di
Anna Della
Moretta