sabato 28 dicembre 2019

TEMPESTA NELLA CHIESA


Questa riflessione è rivolta a chi crede fermamente che il Papa è il vicario di Cristo, Pastore e guida della Chiesa di Dio. Chi si erge a giudice del Papa non è in sintonia coi miei concetti: si possono avere dubbi e perplessità, ma guai a diventare nemici dell’unità della Chiesa escludendo il Papa.
Non importa se la maggioranza del clero o non prende le sue difese o è palesemente contraria ai suoi insegnamenti e alle sue direttive e lo manifesta apertamente arrivando ad affermare che parecchi punti dell’Amoris Laetitia possono essere interpretati come eretici (*). Grande è la loro responsabilità: lo scontro tra favorevoli e contrari a Francesco non solo divide i cattolici ma li consegna allo sconforto e alla confusione.
L’apertura verso i divorziati risposati, la tolleranza zero verso sacerdoti, vescovi e cardinali che hanno coperto gli abusi sessuali, o li hanno essi stessi compiuti, non ha creato il giusto imbarazzo com’era logico che fosse ma bensì odio e risentimento per essere stati ridimensionati nel potere e chiamati a rispondere dei propri comportamenti (*) (nessun altro Papa ha mai ridotto allo stato laicale o privato cardinali dalla porpora come Francesco). Le accuse pesanti di mons. Viganò rappresentano solo la punta dell’iceberg della lotta interna alla Chiesa per esautorare Papà Francesco. Neanche Paolo VI, nel suo burrascoso e contestato pontificato, ha mai raggiunto un così alto clima di ostilità.
Sacerdoti, vescovi e cardinali esprimono apertamente le loro critiche al Pontefice in nome di una dottrina tradizionale che non è più adatta al tempo che viviamo. Non aver accolto il suo insegnamento ha condotto a una disgregazione dei fedeli con una visione del mondo basata essenzialmente sui messaggi raccolti sul web.
È la mancanza di un’unica voce ecclesiale la causa principale della confusione e della metamorfosi dei cattolici, una voce che dovrebbe partire dal pulpito producendo le eco dei vescovi e dei cardinali. Succede invece che, o per non apparire in disaccordo col proprio vescovo o per obbedienza alla propria lobby, molti sacerdoti tacciono sugli argomenti raccomandati dal Papa. Così i cattolici sono spaccati sull’immigrazione, sull’apertura ai divorziati risposati, sull’apertura alle donne per il diaconato, sulla infallibilità del Papa in materia dottrinale, sul clero gay, sull’obbedienza al Pontefice, sull’etica politica e sulla necessità di esercitarla come servizio, sull’aborto, sul fine vita, sull’utilizzo degli embrioni, e tanto altro. Con queste divisioni ci sentiamo autorizzati a condividere comportamenti razzisti, a fare la Comunione anche se non in grazia di Dio, di andare a Messa quando ne abbiamo voglia, di odiare chi non ci piace, evadere il fisco a piacimento, non curarci di comportamenti criminosi, non curarci di chi è nel bisogno vicino a noi, scartare a priori il dialogo con altre religioni.
Paolo Paganella, parroco di Gorino, interrogato sui fatti che l’hanno portato ad erigere barricate coi suoi parrocchiani per impedire l’arrivo di 12 giovani donne africane ha risposto: “Il Papa risponde di se stesso. Sono io che devo rispondere davanti a Dio.(*)
Poi ci sono i cattolici integralisti, quelli che hanno sposato in pieno le teorie salviniane sull’accoglienza, come Socci che proclama: “Noi cattolici siamo con don Salvini”. Salvini stesso che afferma: “Il mio Papa è Benedetto” (*), come se le dimissioni del primo ammettessero due linee guida. Questi “salvatori” della religione cristiana fanno parte di quella schiera che considerano dannosi i tentativi di Francesco di mantenere il dialogo con i musulmani in nome di una supremazia cattolica che di fatto non c’è, grazie al laicismo imperante che governa tutti gli eventi. Quindi, anche se i fedeli della religione islamica sono da seguire con attenzione, a maggior ragione il dialogo attenua il pericolo di una pericolosa radicalizzazione.
La resistenza passiva a Bergoglio è testimoniata tutt’oggi là in quelle nazioni dove non si vuole scoperchiare la rete degli abusi secondo la tolleranza zero chiesta dal Pontefice. Tranne in alcune nazioni, la stragrande maggioranza delle conferenze episcopali non ha organizzato nessun tipo di struttura a cui possano rivolgersi le vittime per denunciare e ottenere giustizia (*).
Cosa riservi il futuro al popolo di Dio è difficile immaginare, quello che è probabile è un logorante braccio di ferro tra i cardinali della curia; se è vero che “le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa”, sarà lo Spirito a decretarne l’esito.

(*)Fonte: LA SOLITUDINE DI FRANCESCO di Marco Politi – Editori Laterza

venerdì 29 novembre 2019

MICINIGO LA ROCCA DEL GALLO


Quella che diventerà  “Contrada di Micinigo” era un’antica Rocca, ricostruita e irrobustita da Talliano del Friuli, a servizio del Piccinino, durante la contesa tra milanesi e veneziani nel 1439.
In dialetto Misinig deriva da Mocenigo. I Mocenigo erano una nobile famiglia di Venezia che diede alla città alcuni Dogi ed a Brescia diversi capitani incaricati del governo della nostra città. La leggenda vuole che uno di questi capitani si sia ritirato alla fine della carriera a Caino, dando così il nome alla contrada.
Dell’antica fortezza, Micinigo, conserva ancora l’impronta. Locali, scale, sotterranei con la loro disposizione testimoniano un ambiente di raccolta della popolazione e della loro difesa. Non abbiamo disegni dell’epoca ma possiamo supporre che l’attuale portale fosse l’ingresso della Rocca antica, mentre l’ingresso della Rocca ricostruita da Talliano doveva essere più avanti, all’altezza dell’abitazione di Bertacchini Giuseppe.
La presenza di tanti locali all’esterno del vecchio ingresso paiono avvalorare questa ipotesi. Il corpo centrale del castello è quello prospiciente il cortile interno che si sviluppa sul retro verso il centro del paese e che certamente si affacciava sul prato circostante con alte mura. I locali tutto intorno dovevano costituire punti di servizio e di difesa.
E’ citata in cronache bresciane del 1500 come Rocca del Gallo, ma pare che le sue origini risalgano all’anno 1000 per la difesa della popolazione dalle ultime invasioni barbariche degli Ungari.
Più tardi divenne il riferimento del Comune: all’interno delle sue mura accorrevano le famiglie con le masserizie e il bestiame nei momenti di pericolo.
Nel corpo centrale, parte bassa, dove ora abita P. B., abitava Borra Carlo con la moglie Annunziata e i figli Giuseppe e Maria (trasferitasi a Vallio). Lì si stabilì il figlio Giuseppe con la moglie Domenica Prandini (Burilì) e i figli P. e B.  Al primo piano un’altra famiglia Borra con Anì (genitori di Giuseppe (Calìo) e Luigina sposata ad Anfo); una famiglia  Bertacchini con Elvira, genitori di Armida;  gli antenati del Bülì e Borra Martina (la Bülina) nonna paterna della Fernanda. Il Bülì sposò Rossi Armida e vissero con il figlio Nino (Trinchèl). Sempre nel corpo centrale visse col marito Borra Pierina ( de la Ditta), mamma di Felice, nonna di L. e T., suocera di Maria Ferandi di Vallio, anch'essi abitarono il primo piano. Ancora nella parte bassa del corpo centrale abitava Bertacchini Pietro fu Francesco con la moglie Bertacchini Domenica (Cudic, nonna materna Fernanda) e i tre figli: Martina, Mario e Giuseppe. Sul retro abitava la famiglia Bertacchini Giovanni con Dosolina Maestri, genitori di Bortolo, Angelo e Principe; in quella zona, dove c'è il portone, si svilupparono due discendenze: quella di Mosè e Abramo (Cudic), quest'ultimo con moglie e quattro figli: Angelo (Gòp), Domenica, Giacomo e Giovanni (Gioanì). Giacomo rimase in questa casa con la moglie fino alla loro morte poi fu occupata per un po' di tempo dal figlio Rolando fino al suo trasferimento a Villa Mattina. Ora la casa è occupata da B. C. La parte sopra era dei Mosè e oggi costituisce l'abitazione di S. A. e la moglie C. P. Fuori dal portone, sulla destra, si notano delle scale, lì abitò un certo Spagnoli (Tapèt). In seguito abitò Bertacchini Angelo con Ghidini Gelmina con i figli G. e A., oggi vi risiede C. D. 
Staccata dal corpo centrale, attaccata alla sinistra del portale ad arco, c'è la casa oggi abitata da Rossetti Aldina. Qui vissero Bertacchini Giovanni (Gioanì), la moglie Borra Maria e i figli Giuseppe e Angelo. Una volta sposatosi, Angelo e la moglie Aldina, abitarono la casa con i genitori. Giuseppe, appena sposato si trasferì nella nuova abitazione, sulla sinistra esterna, sopra la fontana. 
Nella parte esterna sinistra, lungo la strada provinciale, dopo la casa di Giuseppe, troviamo la casa dove abitò, nella parte bassa, De Giacomi Pietro dei Burtulì con Spagnoli Faustina e poi i figli Paolo, Pietro (Pio), Rosina (Pia), Maddalena (Pinì), Silvia, Angela (Giulietta) e Pasqua (Esterina); Esterina fu l'ultima a lasciare la casa. Nella parte superiore abitava De Giacomi Paolo con De Giacomi Agnese e i figli E. e D., la nonna Emma e a volte dalla montagna arrivava lo zio Bèsi. 
A sinistra della casa dei Burtulì, guardando l'ingresso, c'era stalla e fienile divisi tra due proprietari: Bertacchini Giovanni (Gioanì de Cudic) e Borra Giuseppe (Calìo): ora la casa dei Burtulì e la stalla e fienile ristrutturata, sono proprietà di B. M.a destra c'era pure un'altra stalla e fienile di Borra Felice, che fu acquistato da Bertacchini Martina per trasformarlo nella sua abitazione: ora ci abita la figlia Benini Fernanda. L'ala termina con l’abitazione degli eredi di Mora Giuseppe, subentrato allo zio Mora con Pierina che non hanno avuto figli. La parte iniziale del caseggiato sulla destra esterna costituiva l'abitazione dei Arcangei con i figli Angelo e Faustino; inizialmente vi abitò Angelo (Arcangilì) con la moglie Zucchini Caterina e i figli D., G., M. e A.; poi è subentrato il fratello Faustino con De Giacomi Fausta e i figli M., M., L., A. e M.; segue l'abitazione contigua di Bertacchini Umberto e Zanoletti Elide un tempo abitato con le figlie G., M. e S.; oggi tutta questo immobile è di proprietà di Bertacchini Umberto. Ad angolo, chiude la casa di Bertacchini Francesco e la moglie Noventa Maria con i figli Pietro e Caterina. Come anello di congiunzione con il corpo centrale c’è l’abitazione che fu di Borra Lorenzo e Moretti Vittorina, ora dei figli E. ed A.
  Angelo, Angela e Fernanda

mercoledì 27 novembre 2019

CHE CONFUSIONE...


In nome del popolo italiano… gli italiani prima di tutto. Sono le frasi più ricorrenti pronunciate da tutti i politici che conosciamo.
Ma perseguono davvero tutti l’interesse nazionale? C’è ancora la destra e la sinistra? È ravvisabile una visione economica prevalente o camminiamo nella nebbia in attesa che qualcuno ci accenda una lucina per fare un altro passo?
Non c’è proprio da stare allegri. Se gli italiani sono arrivati al punto di premiare col loro consenso quelle forze politiche che neanche governando con una maggioranza schiacciante ci hanno migliorato la vita, anzi, vuol dire che siamo più disposti a una deriva autoritaria seguendo una linea coerente piuttosto che continuare in una democratica confusione. Ma che ne facciamo di tanti cervelli, che tutto il mondo ci invidia, se non sanno indicarci una coerente strada da percorrere? Nessuno disposto a difendere con coerenza e perseveranza le proprie convinzioni a favore di questo popolo? Intendiamoci, siamo un po’ tutti colpevoli per la deriva assunta da questo nostro Paese. È l’etica di ciascuno di noi che ha favorito la classe politica che abbiamo. Se ognuno si fosse pentito dei piccoli peccati commessi contro la Nazione (soprattutto pagando o lavorando in nero) e di conseguenza avesse difeso valori e principi validi per tutti evitando di difendere “chi” ci faceva comodo, oggi avremmo una burocrazia più efficiente e una classe politica più preparata e più disposta a servire con coraggio il proprio Paese, cosa di cui abbiamo un bisogno estremo.
Mentre ci lamentiamo delle piccole tasse, spendiamo un sacco di soldi, che diciamo di non avere, in viaggi, vacanze e ristoranti. Quelli che erano poveri ora sono alla canna del gas, mentre tutti gli altri possono permettersi scelte che per i tempi che stiamo attraversando sono da considerare di lusso. Questi ultimi a loro volta sì dividono in due categorie: la prima è ricca grazie al proprio lavoro, mentre la seconda lo è perché ha preso delle scorciatoie. Stiamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità! È una campana che dovrebbe risuonare ogni giorno per convincerci che ci sono delle priorità che ci dovrebbero impegnare tutti nel portarle a compimento, consapevoli di dover fare un piccolo sacrificio per realizzare una fiscalità più equa. Migliorare la nostra società, anche economicamente, vorrebbe dire infatti portare benessere ad ogni famiglia, ma per farlo occorrono quattrini e per una volta bisognerebbe che tutta la classe politica fosse chiamata, insieme per il bene dell’Italia, a scegliere la strada da prendere e dove reperire le risorse.
Qualcuno ha detto che non esiste più destra, sinistra e centro. A parte che le stesse persone scrivono sui “loro” giornali che al Governo ci sono quattro sinistre, ma è evidente in ogni caso che ci sono due “sindacati”: quello che difende il capitale in tutte le sue forme e quello che vorrebbe rappresentare i dipendenti e i pensionati, anche se fatica a riuscirci. Se ogni partito contenesse uno statista si troverebbe il giusto compromesso per accordarsi e costruire insieme un piano, non solo industriale, ma civico e sociale insieme, degno di quello che siamo, invece che accapigliarsi per ogni nonnulla sollevato come bandierina territoriale. Ne abbiamo visti di eccessi di difesa, di destra e di sinistra, e non ci hanno mai portato risultati positivi. Se continueremo sulla stessa strada ci troveremo di sicuro con un governo stabile, ma pagheremo cara la nostra cocciutaggine nell’aver creduto che fosse possibile coniugare un sano bilancio statale e la riduzione del debito colossale con insostenibili promesse elettorali senza pagarne un prezzo salato.
L’unico modo per non farsi male è quello di accordarsi. Ma ci riusciranno?

giovedì 29 agosto 2019

ASPETTANDO...


Nella mia testa l’Ospice era l’ultima dimora terrena di un condannato che non si rendeva per niente conto di dove si trovasse esattamente. Allorquando, per necessità, ho dovuto fare i conti con questa struttura, questo mio ragionamento è stato smontato alla vista di persone che giravano nei corridoi col corredo delle loro flebo, probabilmente antidolorifici.
Nel turbamento per la scoperta di questa nuova realtà, ho provato a interrogarmi su cosa possa passare nella testa di quei pazienti che, con apparente naturalezza, vanno incontrando nei corridoi i parenti dei ricoverati. Non essendo possibile una relazione diretta per ovvie ragioni, una risposta ai miei interrogativi non c’è. Allora ho cercato di immedesimarmi in quello stadio di malattia e ragionare per me stesso dal momento che è arrivata la sentenza: ti rimangono pochi giorni di vita.
È il primo trauma, tanti che siano, hai poco tempo da dedicare alle tue passioni, ai tuoi interessi, ai tuoi cari. Ogni giorno che passa il cuore viene schiacciato sempre di più in una morsa implacabile ed aumenta la sensazione di panico.
Sei solo a lottare contro la morte perché sei cosciente che nessuno può cambiare il corso degli eventi. Non voglio morire! Purtroppo è necessario prepararsi al passaggio, un salto nel buio al quale solo i Santi sono preparati.
Immagino che la Fede possa aiutare molto, ma lasciarsi andare, rassegnarsi e prepararsi richiede una notevole forza d’animo e questa forza, per chi non ce l’ha, va trovata con l’aiuto di qualcuno in cui si crede, che sia amico o familiare.
Come vivere quello che rimane?
Gli sviluppi della malattia possono concedere di stare nella propria abitazione o rendere necessario il ricovero in strutture specializzate come l’Ospice.
Nel primo caso non so come agirei. Non so se reggerei le visite dei parenti e conoscenti o se invece cercherei ogni tipo di contatto. Non so neppure se sarei in grado di vedere con altro occhio le cose che mi hanno circondato ogni giorno fino alla sentenza. Di una cosa però sono sicuro: vorrei godermi fino alla fine la mia famiglia.
Ricoverato in una struttura sarebbe sicuramente più triste è avvilente. Il ritmo delle visite parenti con quelle del personale medico-infermieristico, i familiari costretti a convivere in una struttura controllata, renderebbe più penosa la permanenza.
E una volta solo? Guardare la sera finire e la notte a cominciare pensando cosa? Che il tempo vola via veloce! Cosa mi attende? A te che cammini trascinando il tuo trespolo, cosa vai pensando? Stai cercando di mostrarti forte per attenuare la sofferenza dei tuoi cari? O hai accettato il responso come un soldato mandato in battaglia? È accaduto a tanti. Questa volta tocca a me.
Nell’ultimo contatto coi nostri simili forse ci renderemo conto di come siamo riusciti a complicare le nostre relazioni e i nostri sentimenti. Non c’è più tempo per rimediare, c’è solo il tempo per interrogarci sulle azioni compiute.
Dio mio, vienimi incontro, aiutami a staccarmi senza paura da questa vita terrena con la certezza che Tu mi stai aspettando.

domenica 23 giugno 2019

QUANTO È GRAVE?


Quando la salute di una persona viene messa a rischio a causa di una malattia, ci affidiamo al personale sanitario; più grave è la malattia, più alte sono le attenzioni dei medici, dei parenti, degli amici e conoscenti.
Così dovrebbe essere nelle relazioni sociali. Solo che la gravità sociale di una comunità non è percepita da tutti allo stesso modo.
A parole si può riconoscere che certi segnali non sono positivi, ma convincersi che è necessario che tutti insieme esaminiamo questo malessere è tutta un’altra questione. Naturalmente non si vuole sottovalutare la mole degli impegni che le autorità già hanno, ne la complessità che oggi assume un rapporto sociale, ne la sicurezza che quello che si va proponendo sia sufficiente o risolutivo, neppure che quello che segue sia del tutto condivisibile, tuttavia è importante provarci, solo dopo averlo fatto si possono valutare gli esiti.
Proviamo ad esaminare alcune delle mancanze che non favoriscono lo svolgersi armonioso delle relazioni riguardanti sia l’aspetto civile che quello religioso:
CIVILE
1)      Mancanza di un piano sociale che individui i bisogni e le necessità delle persone;
2)      Abdicazione ai controlli e mancata individuazione di criteri di comportamento sul territorio, compresa la viabilità e i parcheggi;
3)      Assenza di un sostegno diretto ai giovani per individuare il percorso migliore di avvicinamento al lavoro;
4)      Mancanza di un’informazione diretta agli anziani delle normative di volta in volta emanate per loro e dei benefici cui hanno diritto;
5)      Mancanza di un’istruzione web di base per rendere indipendenti il più possibile i cittadini nella dichiarazione dei redditi e altri doveri telematici;
6)      Il dedicare nell’anno almeno un incontro per ogni categoria di persone (adolescenti, giovani, adulti, anziani) per sentire le loro opinioni;
7)      Mancanza di una pro-loco che coinvolga più persone possibili.
RELIGIOSO
1)      Necessario per tutti i credenti di trasformare la “Parola” in quotidiano vissuto in mezzo ai fratelli;
2)      Necessario che i responsabili parrocchiali ai vari livelli traducano coerentemente quello che viene “predicato”;
3)      Parlare più spesso dei cristiani perseguitati;
4)      Necessario aumentare la presenza del sacerdote nelle famiglie;
5)      Necessario che, quando è possibile, il sacerdote eserciti la mediazione per raggiungere concordia e rappacificazione;
6)      Si apra ai pellegrinaggi spiegandoli e raccomandandoli alla devozione;
7)      Si apra alle gite sociali per aumentare la conoscenza reciproca e aumentare le relazioni;
8)      Si apra a una collaborazione con l’Amministrazione comunale specialmente ai punti 1-3-4 per quanto possibile quando una parte non sia sufficiente;
9)      Necessario rielaborare i criteri organizzativi dell’oratorio;
10)  Necessario riportare all’interno del Consiglio economico la gestione di tutte le pratiche della parrocchia;
11)  Indispensabile rendere trasparenti i Bilanci.
Se ci fosse uguale convincimento nell’individuazione delle cure, questa comunità diventerebbe un esempio da imitare; ma sembra che non sia così…
Pur con un associazionismo esteso, volontariato elevato e capacità dei singoli invidiabile, procediamo sfilacciati dissipando spesso il nostro tempo in tante attività che lasciano i problemi principali esattamente come stavano. La speranza si trasforma in sfiducia, che ci blocca, che ci porta al sospetto e al pregiudizio facendoci perdere la visione di insieme.

sabato 6 aprile 2019

IL CASALE DI RASILE


Dalla fotografia, dietro la casa di Maffioli Giacomo e Faustino, si può vedere la maestosità del Casale di Rasile posta in bella evidenza sopra un dolce pendìo. Un grande portone carraio dava su un ampio cortile dove si affacciava la costruzione composta da un lungo porticato. A fianco del portone si apriva la porta a vetri dell’abitazione di Luigi Bertacchini (Bigioto) e quella della stalla del fratello Giovanni (Fiascù). Tutto intorno vigneti e piante da frutto. La località (e le proprietà) si estendevano lungo la statale fino a Novale con la casa medioevale di Giuseppe (Tapitì) e salivano sotto il Laghetto allargandosi sotto il cimitero per scendere fino alla casa Maffioli. Oggi la contrada è completamente stravolta, dell’antico casale è rimasta in piedi (ristrutturata dalla nipote) la casa di “Bigioto” e la stalla fienile del fratello, anch’essa ristrutturata.
Angelo

VIA NOVALE

Stretta dall’alveo del Garza che ne segna il tracciato, Via Novale cammina a sinistra e a destra della strada principale (oggi chiamata Via Nazionale). Inizia dove finisce la contrada del Passo, cioè dalla casa che fu di Francesco Pedrotti e che ha ospitato per tanti anni la Trattoria dell’Armonia.
Poco più in la, nel caseggiato dove è situata l’officina di Diego Giacomelli, sorgevano le stalle della famiglia Longhi con casa annessa costruita dall’impresa Giuseppe Pelicardi. Confinante con la proprietà Longhi, sempre sulla strada, c’era la fattoria dei “Matiecc”, De Giacomi Angelo.
La famiglia era composta da 7 persone: quattro fratelli di cui tre scapoli (Piero, Tino e Amadio) ed uno, Angelo (Cilì), sposato con Caterina Ghidini che aveva il ruolo di capo-famiglia, e due figlie, Agnese ed Ermelinda. È probabile che chi ha abitato la contrada quando la fattoria era attiva abbia bevuto il latte appena munto consegnato direttamente a casa dalla “Rina”.
A fianco della loro casa c’era un prato e uno stabile con un grande portone di legno che ospitava la “corriera” della SIA e costituiva la stazione di partenza e di arrivo; su questo edificio, negli anni 60, sarà edificato l’Albergo “Leone”. La sede storica dell’osteria, gestita da Bertacchini Angelo con la moglie Antonia Torcoli e i figli Franco e Nunzio, stava in quella parte di stabile che fa angolo a fianco del “Leone” dove abitò la famiglia Mori Ferdinando quando giunse a Caino. C’erano anche i giochi di bocce, come in tutte le osterie del tempo che, dopo essere stati abbandonati, hanno costituito deposito di calce viva dell’impresa Mori.
Il caseggiato è interrotto solo dall’accesso carraio che introduce ad un grande cortile. Da quel cortile accedono tutte le abitazioni interne: proprio di fronte al passo carraio la casa di Martinelli Bortolo, moglie Valeria e figli; sulla destra la casa di Maggiori Guido (Bagarì), Prandini Celestina e altre due famiglie De Giacomi. Quell’angolo di casa, con la piccola vetrina sulla strada, costituiva il negozio alimentari di Maggiori Guido gestito con la moglie Adele Nicolini. Sopra Guido abitava la famiglia Emer Mario con i figli Giuseppe, Dario, Elsa ed Enrico. In fondo al cortile, verso il “Leone” abitava la famiglia De Giacomi Giuseppe con i figli Virginia, Rosa, Fausta, Francesco (Cechi) ed Eligio. Erano gli anni del boom economico a Caino lavoravano nove cartiere con tre turni di lavoro (e Garza colorato) e a Odolo si erano sviluppate numerose ferriere. Erano dunque numerosi i camion “Stella” stracarichi di rottame di ferro che salendo per la contrada non ancora asfaltata diffondevano autentiche nuvole di polvere, con grande disappunto delle massaie. Trovarsi a incrociare quei mezzi non era per nulla piacevole.
A fronte del tracciato descritto, sul lato opposto della strada, solo le abitazioni che furono di De Giacomi Carlo e “Nina” Minetta e, a fianco, quella dove abitò Pietro Bertacchini (Pierì de la nèca) con la moglie Irma e i figli Francesco, Ernesto, Anita e Lisa (poi subentrarono De Giacomi Guido e Panizza Lucia). A fianco un “volto” introduceva, oltre alle abitazioni citate, alla casa medioevale di De Giacomi Giuseppe (Tapitì) e del fratello Angelo (Sgalmarina).
Continuando dal passo carraio si trovava l’abitazione di De Giacomi, Paolo (Maestadina) e la moglie Armanni Maria con i figli Tonèlo e Luigino, proprio di fronte all’antica fontana. Di fianco l’abitazione del fratello Antonio (Toni) padre di Fausto. Dietro, con accesso dalla via per la “Torre”, c’era l’abitazione della famiglia Bertacchini, la moglie Chiappa e le figlie Martina e Ambrogina.
Si giunge così alla “Torre”, antica trattoria con lo spiedo leonardesco sul fuoco a grande braciere (maza). La gestiva Bertacchini Angelo (Angilì dei Pasqui) con la moglie Lucia Emer; a loro subentrarono prima Francesco Giacomelli (Cichino) con la famiglia e poi Emer Dario con la moglie Carli Caterina. Sempre sulla via interna, sul lato destro, dopo i giochi di bocce, stalla e fienile di “Angilì” e a seguire lo stabile con le “pulissoie” di Bortolo Martinelli. A sinistra invece, prima di sboccare sulla statale, confinante con la Torre, ancora De Giacomi, questa volta i “Bète”, genitori di Paolo falegname e del cugino Giuseppe i quali avevano il loro laboratorio appena dentro il grande portone. Prima della curva a destra, la grande casa su tre piani della famiglia Bertacchini Ferrante. In fondo a Via Tolzana la casa padronale di altri De Giacomi: I Vitta e i “Camili”. Dopo la curva, sulla sinistra, c’era l’osteria Boifava Giuseppe papà di Clementina (mamma di Adele e Rita) e Angela sposata Lossi Pietro (papà di Paolo e Giuseppe). Dopo la guerra subentrò nella gestione Carlo Giacomelli con la moglie Rosa, i giochi di bocce erano sotto la strada. Dietro l’antica osteria c’era l’abitazione di Mantovani Pietro (Pì de Cloas) con la moglie Domenica (Minighina) e i figli Paolo e Gino.
Poco più avanti, dopo la fontana privata, c’era il caravan serraglio (i stai), luogo di sosta tra Brescia e la Valle Sabbia. Il rifugio per i cavalli era costituito da un lungo stabile che arrivava fino al ciglio del torrente proveniente da Pusigle. Al di là del torrente, dove la curva piega a sinistra, c’era una casa di proprietà Comini dove abitarono le famiglie Nicolini Carlo e Bettini Umberto. All’uscita della curva un vialetto conduceva alla stalla e all’abitazione di Francesco Pasinetti, mentre un accesso sul retro della casa Comini introduceva all’abitazione di un certo Facchi, addetto alla manutenzione delle strade.
All’infuori di quanto descritto, negli anni 50, in quella contrada non c’era nulla.  
  Angelo e Angela 

lunedì 18 marzo 2019

S. GIORGIO SCENDE … IN TEATRO


L’obbiettivo era quello di salvare un’opera d’arte e di culto e restituire, per quanto possibile, gli affreschi nel loro antico splendore alle future generazioni. I lavori sono terminati e l’obbiettivo pienamente raggiunto.
Per consentire a tutta la comunità di condividere il significato dei lavori di restauro degli affreschi del 1500 di cui si pregia il nostro eremo, sabato 6 aprile 2019 in teatro, viene proposta una serata appositamente dedicata, con la proiezione dei lavori nella loro evoluzione. Questo per consentire a tutti di poter apprezzare il prezioso valore artistico recuperato, il significato delle raffigurazioni e, nondimeno rivedere nella veste oggi rinnovata un luogo per qualcuno difficile da raggiungere. Come ideale simbolo di continuità col passato la serata vuole essere il culmine di un percorso di recupero iniziato nel 1978 con grande sforzo di una schiera di laboriosi compaesani, che hanno reso possibile il recupero dell’edificio ormai cadente e che oggi si completa col recupero degli affreschi, autentico tesoro artistico.
L’architetto Andrea Minessi, avvalendosi della restauratrice Emanuela Montagnoli, ha coordinato il lavoro di pulizia dell’esistente, restituendo nella sua autentica bellezza originale gli affreschi millecinquecenteschi.
La serata sarà occasione per un racconto-memoria di una località che per tanti anni è stata meta di pellegrinaggi dei cainesi che salivano numerosi a questo eremo per fede e per un festoso incontro conviviale e cercherà di ripercorrere, tra memoria e ricordi di chi c’era, una storia che vogliamo ricordare, perché ancora ci appartiene.
Per offrire un piccolo sostegno economico sarà allestito un banco dove si potranno acquistare delle ceramiche dedicate all’eremo realizzate dalla “Cooperativa Futura” di Nave su disegno dell’architetto e del vino di qualità con etichetta personalizzata prodotto nella cantina Clarabella di Iseo.
Dai volontari di San Giorgio

venerdì 22 febbraio 2019

LA STRADA INTERNA CHE PORTA AL PASSO ERA LA VIA DEI NEGOZI


 

Sotto il muretto che costeggia la provinciale, scorreva il torrente Re, al quale si recavano le donne per lavare i panni; provenendo dalla Madonna delle Fontane, si biforcava dietro l’attuale monumento dei caduti per dirigersi verso l’antico mulino. Risalendo dalla fontanella del "Passo", c’era la casa dei “Sechi” (Azzani Faustino) vicino alla quale la famiglia Benini (Nina con la gibbosi) macinava la farina. Al termine della salita la famiglia Borra Pietro (Fetzö) gestiva un forno e il vecchio negozio di alimentari. A seguire si affacciava sulla via un portone (proprio dove ora c’è l’Ufficio Postale) che conduceva al retrobottega di Ferrami Battista, meccanico e gestore delle pompe di benzina e miscela. Poi si affacciavano i gradini della merceria della “Caldi” (Serafina) gestita dalla Dina e Angelo Brozzoni. Divisa da una casa di abitazione la macelleria di Riccardo Azzani che serviva tutto il paese, con macello sul retro al quale si accedeva scendendo sotto il “volto” sulla curva. Seguiva il negozio alimentari di Primo Piscini con sottostante forno, seguito al banco dalla cordialità della Lina Senici. A fianco l’abitazione di Diodato Gnutti, alla quale si accedeva con qualche gradino dove spesso lui si metteva seduto a conversare coi passanti. La casa dove ora c’è la macelleria era di proprietà di Comini Paolo; lì veniva a soggiornare per tutta l’estate l’ing. Gino Casnighi. Sopra abitava Comini Colomba, sorella del proprietario. Poi il “volto” che portava alle abitazioni sottostanti, sulla destra (ora in rovina) abitò Terzio Bettini (poi la famiglia Mombelli), la famiglia Picchi (che perse la figlia Sabrina nell’alluvione del 1968) e la famiglia Piscini. Sulla sinistra si accedeva all’abitazione della famiglia Azzani Pietro, la famiglia Bertacchini Pierino, Benini Palma con Bettini Umberto (Gioanì) e le figlie Angela e Carmelita, la famiglia Maggiori Davide (Ferantì) e la famiglia Mora Pietro con i figli Teresina, Santina, Rosa, Luigi e Giovanni.

Angelo e Angela


(Rimaniamo in attesa di tutte le integrazioni o correzioni, che andremo volentieri ad aggiungere per la conservazione del ricordo storico di questa contrada)