Di
fronte al Trattato atlantico (TTIP), che ci toglierebbe quel poco di fiducia
che ci è rimasta, al bollino rosso degli inglesi sulle marche non autoctone (le
cosiddette etichette semaforo), al latte importato dall’est e dalla Cina delle
multinazionali, l’embargo commerciale con le nazioni ostili (leggi Russia), mi
chiedo cosa stiamo aspettando per adottare mosse strategiche che impediscano
all’Italia di essere risucchiata nel vortice degli egoismi nazionalistici
europei e cancellare la nostra eccellenza alimentare.
A
volte viene da pensare che ci sia un tornaconto commerciale anche nelle aziende
italiane, forse non sempre lige ai protocolli, ma determinate nello stesso
tempo a voler mantenere il marchio.
Non
ci si spiega perché le aziende di produzione alimentare, di fronte a questi
attacchi al settore, non riescano ad accordarsi mettendo bene in evidenza
sull’etichetta che la “materia prima” è italiana. Ci sono impedimenti dagli
Stati che impediscono una esauriente descrizione? Ancor di più avrebbero
ragione quelli che sono contrari al TTIP che porterebbe sul mercato prodotti
sempre meno controllabili.
Nonostante
le ripetute frodi scoperte dalle forze dell’ordine, è risaputo che la nostra
legislazione in materia di alimenti è la più severa al mondo. Se vogliamo
rinunciare a questa tutela ingerendo prodotti che possono danneggiare la nostra
salute siamo liberi di farlo, ma a coloro che vogliono sapere quello che
mangiano sia consentito di poterlo leggere sulle etichette e alle autorità
preposte di verificare se quello riportato risponde al vero. Anche se sappiamo
che mantenersi in salute non dipende solo dall’alimentazione, nondimeno questa
rappresenta l’argomento più importante per la nostra sopravvivenza, il
carburante del nostro organismo.