venerdì 28 agosto 2015

ROMA – MONTE S. ANGELO Dal 21 maggio al 5 giugno 2013 Un cammino di 450 km tra la gente del Lazio – Campania - Puglia

Forse per rivivere i bei momenti dei miei viaggi a piedi e addolcire la sosta "forzata" di questo anno, ho sfogliato fotografie e appunti trovandone alcuni che mi piace condividere coi lettori.


A chi mi chiedeva: “Chi te lo fa fare” ho provato a rispondere, ma mi sono subito reso conto di essere poco comprensibile. Non è facile tradurre sentimenti ed emozioni personali abbinati alla fatica quotidiana di portare uno zaino lungo un cammino. E non sono nemmeno gli stessi sentimenti che si provano nei tanti pellegrinaggi giornalieri che nascono ormai un po’ dovunque. Non si tratta neppure di assegnare al “cammino” un’importanza basata sulla sua lunghezza o al numero di chiese che ci sono sul suo percorso. E’ un’esperienza che ogni pellegrino fa portando sé stesso (con quello che è) incontro agli altri, confidando di allacciare un filo col suo Creatore attraverso di loro e attraverso la natura che ogni giorno scorre davanti ai suoi occhi. Ma non è tutto bello e radioso; alla gioia di certi incontri a volte si alterna la delusione per un’accoglienza blanda, senza calore, forse data col sospetto di essere in presenza di turisti scrocconi, magari offerta proprio da coloro dai quali ti aspetti di più: sacerdoti e laici di una parrocchia; a volte, nonostante le telefonate, è proprio qualcuno di loro a dimenticarsi di te, e tu rimani fuori ad aspettare per ore. Ma qualcuno veglia su di te e supplisce a queste mancanze favorendo delle coincidenze che si manifestano al momento giusto e ti tolgono dagli impicci: è la mano della Provvidenza, il filo che volevi allacciare si è allacciato, se ci credi. Forse qualcuno ritiene di essere particolarmente fortunato e le coincidenze sono tutte per lui; io penso che quando in un tempo relativamente breve queste “fortune” si ripetono con una certa frequenza, non si tratta più di coincidenze. Quando un referente è irreperibile e tu riesci a trovare un suo collaboratore che non conoscevi, che non risiede in paese e che hai trovato per caso perché aveva un appuntamento con una persona proprio in quel momento, e un minuto dopo sarebbe stato altrove lasciandoti sconsolato all’addiaccio; quando un referente, pur esso irreperibile, viene sostituito dalla carità di una donna che  s’immedesima nelle tue difficoltà e fa surriscaldare il suo cellulare fino a quando trova una persona che ti apre il rifugio e ti consente di riposare dopo ore di attesa; quando alle cinque del mattino arrivi ad un incrocio con più strade, senza una sola indicazione, e si ferma un’automobilista a chiederti se hai bisogno e dove sei diretto; quando inutilmente vai cercando un bar dopo essere rimasto senza acqua e un passante al quale ti sei rivolto te la offre; ed altre ancora; tu chiamale come vuoi, io ringrazio la Provvidenza.
Mi piace pensare che queste “scosse” rianimino la mummia che sta dentro di me e mi facciano migliore: in fondo la meta, agognata fin dalla partenza, è un Santuario (nel nostro caso dedicato all’Arcangelo S. Michele) presso il quale chiedere una particolare intercessione, ci può ben stare, quindi, anche questa aspirazione.

Si torna “nuovi”? No! Ma un pochino diversi si! Si ha più coscienza delle proprie debolezze ma anche la consapevolezza che il “pellegrinaggio a piedi” costituisce un mezzo per conoscere meglio se stessi e domarle. Forse per questo si dice che si è pellegrini per sempre. Il cammino lento ti entra dentro perché ti obbliga a riflettere e ti costringe a continui esami di coscienza. Le tappe sono la tua preghiera e la tua penitenza: non rinunceresti mai a una tappa prima di aver raggiunto la meta: temi solo il tuo stato fisico, nessuna intemperie ti può fermare. Sei ben consapevole di non compiere alcuna impresa importante; tutti possono fare un “pellegrinaggio a piedi” (salute permettendo), quelli che vanno più spediti e quelli più lenti; il risultato sarebbe sempre lo stesso: ne rimarresti conquistato.