domenica 2 marzo 2014

IL ROCCOLO

La pratica dell’uccellagione risale, secondo documenti storici, al 1400 e gli aristocratici prima, la borghesia dopo, hanno sempre ritenuto un privilegio l’avere un roccolo. Anche Giuseppe Zanardelli, statista bresciano, rimarcava la grande importanza dell’industria delle reti sia da pesca che per l’uccellagione. Allora si gioiva del benessere che questa tipologia di caccia portava alla popolazione, sulla tavola e nell’industria tipica. Non ha visto alcuna riduzione delle specie volatili fino all’avvento dei pesticidi e sulle tavole di tante famiglie bresciane e bergamasche ha prevalso questo cibo a buon mercato e tanto … succulento.
Il roccolo veniva costruito sui pendii, affinchè i volatili, spaventati dallo “spauracchio” e dal fischio che simulava il verso del falco, potessero precipitarsi il più basso possibile per salvarsi dal predatore e finire nella rete. La rete di cattura stava in mezzo ad altre due più robuste e di maglia larga, ben tese lungo il perimetro. Veniva costruito a ferro di cavallo con un diametro di 20-30 metri con il “casello” al centro che fungeva di cabina di regia.
La mia generazione ha conosciuto due roccoli nel circondario del paese che ormai non esistono più: quello del “Viglio” sulle colline in fondo a Val Bertone e “Baglioni” salendo da S. Eusebio verso la Corna Lunga. Nel primo si trovavano i richiami di tutte le specie cacciabili; nel secondo prevalentemente tordi, merli e cesene. Prelevati dalle gabbie venivano inserite nelle calze di nylon che ci portavamo appresso e che permettevano agli uccelli di respirare durante il tragitto.