lunedì 30 agosto 2021

AMBULANTI DI UN TEMPO

 


“Ósferrótcridecaalpèldeconéccstrasefóónne…” Il richiamo – di fatto una reclame – annunciava l’arrivo del venditore ambulante. La litania si chiudeva con l’appello all’amata clientela- le fónne – ma ad aprirla era l’elenco della mercanzia ricercata: ossa, rottami di ferri, crine di cavallo, pelli di coniglio, stracci… Tutto nel mondo contadino aveva una seconda chance, la pattumiera è invenzione successiva. In cambio di questa “materia prima seconda” – come la chiamano oggi gli studiosi di riciclo ed economia green – l’ambulante offriva ciotole, posate, rocchetti di refe, qualche nistola colorata.

Gli strumenti dello strasaröerano il carretto (l’antenato deldelivery), la rapidità nel far di conto e la capacità affabulatoria. D’altro canto già il Canossi nella Melodìa faceva confessare alla sua boteghéra che il commercio richiede una generosità vigilata, perché “quant al bondà se pöl bondà de gentilèsa: chèla la costa gnènt”.

Quando gli ambulanti – i mercandèi – si occupavano di un settore merceologico specifico erano palér, parolòcc, capelér, söpelée…

                                                                                            Massimo Lanzini - 29/8/2021

venerdì 20 agosto 2021

CRISTIANI: C’È IL CONDOTTIERO MA NON LE TRUPPE

 

Spesso mi chiedo perché così tanti cristiani in Italia non facciano sentire la loro voce e le loro proposte davanti all’avanzata di teorie e ideologie che vanno sempre più scalzando il senso umanitario e solidaristico del nostro vivere quotidiano (aborto ed eutanasia, per esempio, ma non solo). Non ho una risposta sicura a tutto questo, ma siccome il mio faro, la sola voce che riesco a sentire è quella di Papa Francesco, avversato persino in “casa sua”, cerco di capire perché nemmeno dai sacerdoti arrivi lo stimolo a difendere "calorosamente" i valori importanti che riguardano tutta la nostra vita cristiana. Col battesimo abbiamo ricevuto il “diritto” di ritenerci “figli redenti” ma non quello di dire a Dio “pensaci Tu”. È vero che se non ci abbandoniamo a Lui noi non possiamo salvarci con le sole nostre forze, ma è altrettanto vero che accettando di diventare cristiani siamo diventati testimoni che Gesù è morto per noi dopo averci lasciato un grande insegnamento (Vangelo) e fatti attori principali della Sua missione.  Allora perché non facciamo sentire la nostra voce quando viene messo in ridicolo il Suo messaggio?

Una prima motivazione viene dalla nostra fragilità, dalla consapevolezza dei nostri difetti, dei nostri peccati: come posso io criticare e contestare nelle mie condizioni? Sapere come si sta spiritualmente è importante perché significa che la Coscienza risponde e quindi è aperta alle comunicazioni che Dio continua a mandarci. Serve però un piccolo atto di coraggio: l’umiltà di ritenerci fragili davanti a Dio e davanti agli uomini (confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli che ho molto peccato…), ma nello stesso tempo convincerci e professare che possiamo veramente contare sull’aiuto di Dio per essere migliori rimanendo comunque sempre fedeli difensori della Sua Parola è strumento per migliorare la società. Anche se siamo i peggiori abbiamo il dovere di testimoniare che Cristo è morto per noi, è Risorto e ci aspetta per festeggiare con Lui.

La seconda motivazione viene dalla nostra superbia: la presunzione di non aver bisogno di Dio per vivere la nostra vita. Ciò è grave perché ci relega a una esistenza animale (a volte peggiore) privandoci di un futuro di eternità nel quale godere il giusto premio per aver riempito la nostra vita terrena di aspirazioni, amore e testimonianza della nostra fede in Cristo. Ci riduciamo così quando non crediamo nella potenza dell’amore e non lo cerchiamo neanche. Il più delle volte ciò deriva da un’infanzia infelice, da traumi che abbiamo subito da piccoli impedendoci di sperimentare serenamente la dolcezza di questo sentimento. Costretti a cercare da soli le motivazioni della nostra esistenza, finiamo col farci guidare istintivamente da persone e da messaggi che ci sostengono, che invece hanno un progetto ahimè ben definito, non certo quello di favorire la nostra crescita umana e spirituale. Ecco il punto: umanità e spiritualità, sono i sostegni basilari di ogni persona che entra in difficoltà ogni qualvolta prevale l’uno a danno dell’altro.

C’è una terza motivazione, forse più banale ma non meno colpevole: vivere la religione in modo infantile. Se uno non crede a Dio ma ne cerca la traccia, probabilmente finirà nelle sue braccia misericordiose. Ma un credente che non farà del suo meglio per mettere in pratica i suoi Comandamenti è destinato a un giudizio molto severo.

Pare che nessuno si accorga della freddezza con la quale si celebrano tante liturgie, la Messa con canti che sono anche bellissime preghiere, ma con ritmi musicali privi di festa; letture fatte in fretta, a volte lette in maniera incomprensibile; prediche che a volte servono solo a chi le fa; l’intercalare poco raccoglimento; poca enfasi ai momenti più importanti. Se non riusciamo a vivere la Messa come vicinanza a Cristo e al suo sacrificio per noi e le altre funzioni liturgiche come lode festosa a Dio Padre o allo Spirito Santo, allora dobbiamo iniziare tutto daccapo, da quando eravamo bambini. Per essere buoni cristiani bisogna amarsi come comunità ed essere felici di trovarsi insieme a lodare Dio. La fretta di lasciare il Tempio indica che quei credenti hanno bisogno di un missionario.

Un’ultima motivazione in base a quanto ho notato è la vergogna di farsi riconoscere come cristiani. Per me è gravissimo! Nella maggior parte del mondo i cristiani sono perseguitati, uccisi, umiliati e sopportano ogni sorta di soprusi; non è né comprensibile né accettabile che in uno Stato come il nostro, con tutte le libertà e tutele possibili, un cristiano abbia vergogna di mostrarsi tale. Se nelle nostre chiese si trovasse il tempo di leggere un qualche grido di aiuto dei nostri fratelli perseguitati riportati sui settimanali/mensili dei missionari, sempre dimenticati dalla stampa nazionale se non nei momenti delle grandi tragedie, allora, forse, ci sarebbe qualcuno in più a farsi pubblicamente il segno di croce, come dire: io ci sono.