lunedì 27 dicembre 2021

DISCORRENDO MI HANNO CHIESTO …

 

Credi in Dio?

In genere, prima ancora che venga posta la domanda, ho sentito alcuni intervistati rispondere: “Io sono cristiano” o “Io sono cattolico”. In questo modo la domanda viene “dribblata” con una non risposta. Infatti, con una simile affermazione si omette “il come” e “il perché” si professa il cristianesimo o il cattolicesimo.

Provo a rispondere per me. Si, io credo profondamente in Dio per tanti motivi, ma soprattutto per questi: il primo perché l’uomo è così perfetto nella sua costituzione ( così come gli animali secondo la loro specie) che affidarla al “caso” è veramente  ridicolo; secondo perché i Profeti ci hanno parlato di Lui e ci hanno annunciato l’arrivo di Suo Figlio sulla terra e la sua morte per salvarci dal tradimento dei nostri progenitori; terzo perché Gesù sin dall’inizio della sua predicazione ha confermato con ripetute prove del suo potere Divino quello che era stato annunciato dai profeti e il  motivo per cui sarebbe morto in croce, avvenimenti che puntualmente si sono verificati; quarto perché nessuno può confutare le apparizioni della Sua Mamma nelle quali (compiendo prodigi) ha preannunciato castighi a causa della nostra incredulità e per i nostri continui tradimenti; quinto perché solo mettendo in pratica i suoi insegnamenti riusciamo a trovare pace e serenità in mezzo a tutta la sofferenza che ognuno porta con se quotidianamente.

È necessario andare a Messa?

Da persone concrete, con la nostra natura umana, abbiamo bisogno di vivere e sentire sulla nostra pelle una presenza così Divina. Lui lo sapeva e nell’ultima cena ha istituito l’Eucaristia.

Questo è il mio corpo … Questo è il sangue sparso per voi … viene ripetuto durante l’elevazione.

A mio parere non c’è un più alto sentimento umano che quello di “toccare” un corpo donato per amore ricevendolo sulle mani e facendolo diventare parte di te. Tanti sacerdoti lo attestano; qualcuno ha dubitato e Dio è subito intervenuto per mettere le cose in chiaro.

La Messa non è solo un precetto o peggio una tradizione; è un atto di ringraziamento verso quel corpo che, nonostante il tempo trascorso, continuamente si dona agli uomini come me, perché senza quel contatto fisico saremmo travolti dal vortice della mondanità.

Vai a Messa perché credi o credi perché vai a Messa?

Mi hanno sempre detto che la Fede è un dono che Dio fa all’uomo. Io interpretavo tale dono come una infusione regalata e privilegiata per alcuni e non per altri cosiddetti “infedeli”. Sono cresciuto così nell’equivoco, accompagnato dalle formule del catechismo di Papa Pio X e dalle gare per dimostrare chi lo aveva studiato di più. Quelli della mia età ricordano ancora molte di queste domande e risposte: Chi è Dio? Dio è l’Essere perfettissimo creatore del cielo e della terra. Dov’è Dio? In cielo, in terra e in ogni luogo: Egli è l’eterno. Ecc.

Molto intuitivo ai fini della dizione e forse adatto alla categoria ragazzi che non erano pronti ad affrontare temi così elevati. Forse si doveva riprendere il medesimo catechismo, dai giovani in avanti, durante la “dottrina della Domenica pomeriggio”; forse però eravamo tutti dei “bei addormentati di paese” preoccupati di ben altre cose e quindi, per la maggior parte, io compreso, ci ritenevamo credenti perché andavamo a Messa la domenica.

Mi ci è voluto molto tempo, molte contestazioni e molte riflessioni per credere nella Santissima Trinità come credo oggi, ancora perfettibile, con continui sbagli, ma abbastanza saldo.

Sento la necessità di andare a Messa perché credo di trovare lì la forza per essere migliore e quindi di prepararmi su questa terra, attraverso le azioni sbagli e pentimenti, a meritarmi un angolino di eternità.

C’è una relazione tra Eucaristia e comunione fraterna?

Sono certo di si, basta volerlo. La Chiesa tutta proclama la fraternità in Cristo attraverso la Mensa Eucaristica, ma questa si realizza solo se riusciamo a concentrare la nostra attenzione sull’incontro che si sta realizzando. Se tutti abbiamo chiaro il perché ci troviamo riuniti in un luogo di culto, non possiamo che lasciar cadere a terra qualunque angustia ci stia tormentando e ogni pregiudizio o rivalità ci portiamo appresso. Maggiore è il numero che non vive l’incontro con il Cristo più fredda e sterile è la fraternità. Al contrario, maggiore è chi lo vive e più calda e viva è la relazione.

Non sono i canti o le preghiere o il numero delle persone che creano l’atmosfera, è la gioia e il desiderio di essere in quel posto insieme.

Mi è capitato spesso di affermare che non tutti i luoghi religiosi sviluppano la stessa atmosfera e ti inducono a pregare con la stessa intensità. In molti casi la risposta era: “Dio è in tutti i luoghi e quindi un posto vale l’altro”. Potrebbe ma non lo è! Qualcuno mi dovrebbe spiegare perché di norma ai pellegrinaggi mariani ci si trova sempre così bene tra fedeli. Questa atmosfera non deriva forse nel fatto che tutti riconoscono e sentono la maternità Divina di Maria in egual maniera? Questo sentimento non si ripete invece con la stessa intensità nella partecipazione alla Messa.

Per la partecipazione alla Messa il prete fa la differenza?

In qualche modo secondo me si, soprattutto se il suo comportamento con il suo gregge è coerente con i suoi insegnamenti dal pulpito; in questo caso qualcuno può essere indotto a partecipare per trarne ulteriori riflessioni o insegnamenti. Però non lo ritengo determinante.

Un cristiano maturo ha bisogno del prete in quanto Ministro di Dio e della Chiesa, ma ha le capacità di elaborare da sé stesso quello che è giusto per lui. Il sacerdote è uomo come noi e sbaglia come noi; è sbagliato pensare che siccome è prete non può sbagliare. Come succede per ognuno di noi, sbaglia, si pente e continua la sua strada. Gli alibi non ci aiutano a crescere. Se non vogliamo parlare o confessarci con un determinato prete rivolgiamoci serenamente ad un altro, intanto che ce ne sono vicini, sapendo che il loro insegnamento non ha ancora creato alcun “mostro”.

Gli avvenimenti, anche giudiziari, che hanno riempito le testate dei giornali dimostrano solo quanto sia aumentata la povertà umana nella quale facciamo media anche noi, non che la Chiesa non sia più necessaria. “… le porte degli inferi non prevarranno” - “… il cielo e la terra passeranno, le mie parole non passeranno” (Matteo: 16,18 e  24,34).

L’assoluzione dei peccati può essere comunitaria?

In alcuni momenti è data facoltà alla Chiesa di assolvere comunitariamente (Conflitti bellici, calamità o pandemia come quella che abbiamo attraversato) ma la forma comandata dalla Chiesa sulla base del messaggio evangelico (Matteo 18,15-20) rimane quella dell’accusa personale delle proprie mancanze. La Chiesa è tollerante sull’esposizione dei peccati, purchè ne sia chiara la natura.

I Sacramenti sono tutti importanti?

Confesso la debolezza delle mie argomentazioni e non contesto nulla, tuttavia preferivo il tempo in cui il Battesimo era alla nascita; a 6/7 anni ci veniva insegnato a confessarci e poi a incontrare Gesù Eucaristia; dopo un anno con la Cresima si diventava “soldati di Cristo”.

Prima di diventare “soldati” bisognava conoscere bene il catechismo. Dopo la Cresima solo pochi mancavano alle funzioni liturgiche. Mi sembrava che ci fosse un crescendo adeguato all’età, forse anche un po’ più di capacità di dialogare coi piccoli. Ma era tanto tempo fa.

Posso quindi esprimere solo qualche desiderio, l’indirizzo pastorale è competenza esclusiva del Vescovo.

Battesimo – Visto che sono contemplate varie forme di Battesimo legate a situazioni particolari, proporrei (per le famiglie cristiane) il Battesimo di desiderio subito dopo la nascita e il rinnovo del rito dopo la prima Confessione a 6/7 anni. A seguire la Comunione e la Cresima.

Matrimonio – Solo qualche incontro col parroco, ma determinante per comprendere se c’è l’intenzione di crescere una famiglia cristiana o fare una cerimonia teatrale.

Ordinazione – Obbligo di applicare un piccolo Crocifisso di riconoscimento sulla giacca o sulla camicia.

Estrema unzione – Porterei periodicamente ad ogni ammalato o persona molto anziana questo Sacramento previa ampia dottrina sul suo significato.

Cosa si potrebbe fare per ridurre lo svuotamento delle chiese?

Prima di tutto ammetterlo. Penso che non prendere atto del continuo svuotamento delle chiese senza tentare di frenarlo sia un grande errore. Ma questo processo non può essere interrotto senza porsi degli interrogativi: perché le persone non vanno più in chiesa? Perché i giovani dopo la Cresima spariscono? Perché gli oratori sono vuoti? Perché i parrocchiani non si curano delle necessità della loro chiesa locale? E ce ne sarebbero tante altre.

Prima di tutto, secondo me, è necessario alzare la voce quando si parla di peccati gravi, come si fa sottolineando una frase importante su uno scritto (alcuni sacerdoti hanno mostrato di non gradire questo suggerimento). Nell’insegnamento gli allievi devono apprendere le cose giuste tra le tante cose che sentono e quindi devono udire e ripetere per tante volte le cose che contano; i cristiani alla Messa, visto che non possono essere interrogati, devono far proprie le indicazioni che vengono dal Vangelo tramite la spiegazione del sacerdote per comprendere i propri errori. Ma tutto non può essere contenuto in un rapporto magistrale senza che ci sia un rapporto amicale, fraterno col pastore e con la comunità che frequenta: siamo umani e tutti abbiamo bisogno di amore, quindi bisogna favorire questo incontro.

Fino a quando la parola “fratello” farà parte di un rituale scritto da recitare in chiesa ma difficile da esprimere con naturalezza al di fuori, in mezzo alle persone, non saremo una famiglia cristiana compiuta.

Per i giovani di oggi è richiesta una famiglia più ristretta ma con le medesime caratteristiche, adiacente a quella naturale, cioè l’oratorio. Ma se non c’è la famiglia più grande sarà molto difficile animarne una che soddisfi le esigenze dei giovani sempre alla ricerca di nuove scoperte e di nuove sensazioni. Senza una grande passione si può solo “tirare a campare” incapaci di intercettare qualsiasi pensiero che passi nella mente di un giovane. Gli educatori dell’oratorio non si trovano per strada; sono papà, mamme e adulti che si occupano di chi passa di lì come se fossero figli propri. Altrimenti che oratorio è? Ma se qualcuno pensa che queste persone non abbiano bisogno loro per prime di sentirsi parte di una famiglia e che debbano impegnarsi solo perché è loro dovere morale, abbiamo un grosso problema originale. Il volontariato si regge solo su una grande passione di essere utili alla realizzazione di una finalità; al contrario si infrange davanti alla frustrazione dell’inutilità del proprio impegno.

Quindi se perdiamo i giovani le chiese continueranno a svuotarsi per effetto naturale.

 

Ci tengo a sottolineare che in qualche caso il mio pensiero è stato rigettato come “bigotto”. A me sembra rilevare invece che questi argomenti siano trattati con troppa superficialità e si basino su “teorie di convenienza” che si pongono addirittura fuori della dottrina cattolica. Forse dovremmo attingere maggiormente all’insegnamento di Papa Francesco come unico faro che illumina la nostra strada verso il “Regno”.

martedì 5 ottobre 2021

LA PANCIA DI DIO

 

Sarà la vecchiaia che avanza, sarà la manifesta impotenza a incidere in qualche modo nella vita dei nostri figli (giustamente), fatto sta che sentiamo ogni giorno di più l’avvicinarsi del nostro destino.

La nostra vita, già abbastanza avanti, ci ha fatto toccare con mano la caducità dell’uomo e quanto possa essere rapida la fine della nostra esistenza. Ma siamo così attaccati a questa terra che istintivamente declassiamo la nostra fine a circostanza “eventuale”, vale a dire, a un evento che può capitare: sempre più eventuale col decrescere dell’età.

Ma non è solo questo, da giovani tendiamo a separare nettamente la nostra vita spirituale e sociale dal nostro “menage” quotidiano.  

Non dovrebbe esserci questa separazione! Nella vita comunitaria è necessario che l’individuo dia il suo contributo per sostenere la Nazione secondo le Leggi dello Stato e sia aperto alla solidarietà senza attribuirsi il potere di decidere come e quando osservarle.

Così per il credente: non può stabilire da sè medesimo quali comandamenti obbedire e quali no.

Ma siamo umani, tentati dal diavolo, continuiamo a sbagliare e non raggiungiamo mai quella serena pace del cuore, tipico solo dei fanciulli.

A tale proposito mi viene in mente una conclusione a cui era arrivato mio figlio all’età “dei perché”. Quel giorno stavamo passeggiando nel Parco di Bussolengo e lui trotterellando a fianco continuava a chiedermi di Dio, dov’è, che fa, chi lo ha visto, ecc.; dopo un po’ si ferma ed esclama:  “Ma allora noi siamo nella pancia di Dio!”  Ho guardato mia moglie incredulo che un bambino della sua età potesse arrivare a una conclusione simile. Eppure, io che ascolto il Vangelo, avrei dovuto sapere quanta permeabilità ha un bambino che cresce, avrei evitato così tanti errori nell’essere padre; avrei dovuto ricordare le parole di Gesù: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso».   (Mc 10,13-16)

Dove non c’è malizia (cuore di fanciullo) c’è pace e tranquillità, perché il cuore ha riconosciuto lo sbaglio e lo ha ripudiato e non importa se ritorneremo a sbagliare: lo riconosceremo e lo ripudieremo nuovamente.

Il credente ha qualcosa in più. Sa di essere “nella pancia di Dio”, di essere seguito costantemente dal suo amore, sempre pronto a perdonarlo perché desidera che si mantenga sulla “strada di casa”, quella che lo porterà da Lui. Dovremmo essere sempre pronti come Lui ci ha continuato a raccomandare, ma abbiamo veramente le “lucerne accese e ben riforniti di olio”? Abbiamo fatto tutto quello che potevamo per i nostri fratelli? Penso che questo sia il più importante interrogativo che dobbiamo porci, perché è quello che qualifica tutta la nostra esistenza.

lunedì 30 agosto 2021

AMBULANTI DI UN TEMPO

 


“Ósferrótcridecaalpèldeconéccstrasefóónne…” Il richiamo – di fatto una reclame – annunciava l’arrivo del venditore ambulante. La litania si chiudeva con l’appello all’amata clientela- le fónne – ma ad aprirla era l’elenco della mercanzia ricercata: ossa, rottami di ferri, crine di cavallo, pelli di coniglio, stracci… Tutto nel mondo contadino aveva una seconda chance, la pattumiera è invenzione successiva. In cambio di questa “materia prima seconda” – come la chiamano oggi gli studiosi di riciclo ed economia green – l’ambulante offriva ciotole, posate, rocchetti di refe, qualche nistola colorata.

Gli strumenti dello strasaröerano il carretto (l’antenato deldelivery), la rapidità nel far di conto e la capacità affabulatoria. D’altro canto già il Canossi nella Melodìa faceva confessare alla sua boteghéra che il commercio richiede una generosità vigilata, perché “quant al bondà se pöl bondà de gentilèsa: chèla la costa gnènt”.

Quando gli ambulanti – i mercandèi – si occupavano di un settore merceologico specifico erano palér, parolòcc, capelér, söpelée…

                                                                                            Massimo Lanzini - 29/8/2021

venerdì 20 agosto 2021

CRISTIANI: C’È IL CONDOTTIERO MA NON LE TRUPPE

 

Spesso mi chiedo perché così tanti cristiani in Italia non facciano sentire la loro voce e le loro proposte davanti all’avanzata di teorie e ideologie che vanno sempre più scalzando il senso umanitario e solidaristico del nostro vivere quotidiano (aborto ed eutanasia, per esempio, ma non solo). Non ho una risposta sicura a tutto questo, ma siccome il mio faro, la sola voce che riesco a sentire è quella di Papa Francesco, avversato persino in “casa sua”, cerco di capire perché nemmeno dai sacerdoti arrivi lo stimolo a difendere "calorosamente" i valori importanti che riguardano tutta la nostra vita cristiana. Col battesimo abbiamo ricevuto il “diritto” di ritenerci “figli redenti” ma non quello di dire a Dio “pensaci Tu”. È vero che se non ci abbandoniamo a Lui noi non possiamo salvarci con le sole nostre forze, ma è altrettanto vero che accettando di diventare cristiani siamo diventati testimoni che Gesù è morto per noi dopo averci lasciato un grande insegnamento (Vangelo) e fatti attori principali della Sua missione.  Allora perché non facciamo sentire la nostra voce quando viene messo in ridicolo il Suo messaggio?

Una prima motivazione viene dalla nostra fragilità, dalla consapevolezza dei nostri difetti, dei nostri peccati: come posso io criticare e contestare nelle mie condizioni? Sapere come si sta spiritualmente è importante perché significa che la Coscienza risponde e quindi è aperta alle comunicazioni che Dio continua a mandarci. Serve però un piccolo atto di coraggio: l’umiltà di ritenerci fragili davanti a Dio e davanti agli uomini (confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli che ho molto peccato…), ma nello stesso tempo convincerci e professare che possiamo veramente contare sull’aiuto di Dio per essere migliori rimanendo comunque sempre fedeli difensori della Sua Parola è strumento per migliorare la società. Anche se siamo i peggiori abbiamo il dovere di testimoniare che Cristo è morto per noi, è Risorto e ci aspetta per festeggiare con Lui.

La seconda motivazione viene dalla nostra superbia: la presunzione di non aver bisogno di Dio per vivere la nostra vita. Ciò è grave perché ci relega a una esistenza animale (a volte peggiore) privandoci di un futuro di eternità nel quale godere il giusto premio per aver riempito la nostra vita terrena di aspirazioni, amore e testimonianza della nostra fede in Cristo. Ci riduciamo così quando non crediamo nella potenza dell’amore e non lo cerchiamo neanche. Il più delle volte ciò deriva da un’infanzia infelice, da traumi che abbiamo subito da piccoli impedendoci di sperimentare serenamente la dolcezza di questo sentimento. Costretti a cercare da soli le motivazioni della nostra esistenza, finiamo col farci guidare istintivamente da persone e da messaggi che ci sostengono, che invece hanno un progetto ahimè ben definito, non certo quello di favorire la nostra crescita umana e spirituale. Ecco il punto: umanità e spiritualità, sono i sostegni basilari di ogni persona che entra in difficoltà ogni qualvolta prevale l’uno a danno dell’altro.

C’è una terza motivazione, forse più banale ma non meno colpevole: vivere la religione in modo infantile. Se uno non crede a Dio ma ne cerca la traccia, probabilmente finirà nelle sue braccia misericordiose. Ma un credente che non farà del suo meglio per mettere in pratica i suoi Comandamenti è destinato a un giudizio molto severo.

Pare che nessuno si accorga della freddezza con la quale si celebrano tante liturgie, la Messa con canti che sono anche bellissime preghiere, ma con ritmi musicali privi di festa; letture fatte in fretta, a volte lette in maniera incomprensibile; prediche che a volte servono solo a chi le fa; l’intercalare poco raccoglimento; poca enfasi ai momenti più importanti. Se non riusciamo a vivere la Messa come vicinanza a Cristo e al suo sacrificio per noi e le altre funzioni liturgiche come lode festosa a Dio Padre o allo Spirito Santo, allora dobbiamo iniziare tutto daccapo, da quando eravamo bambini. Per essere buoni cristiani bisogna amarsi come comunità ed essere felici di trovarsi insieme a lodare Dio. La fretta di lasciare il Tempio indica che quei credenti hanno bisogno di un missionario.

Un’ultima motivazione in base a quanto ho notato è la vergogna di farsi riconoscere come cristiani. Per me è gravissimo! Nella maggior parte del mondo i cristiani sono perseguitati, uccisi, umiliati e sopportano ogni sorta di soprusi; non è né comprensibile né accettabile che in uno Stato come il nostro, con tutte le libertà e tutele possibili, un cristiano abbia vergogna di mostrarsi tale. Se nelle nostre chiese si trovasse il tempo di leggere un qualche grido di aiuto dei nostri fratelli perseguitati riportati sui settimanali/mensili dei missionari, sempre dimenticati dalla stampa nazionale se non nei momenti delle grandi tragedie, allora, forse, ci sarebbe qualcuno in più a farsi pubblicamente il segno di croce, come dire: io ci sono.

giovedì 22 aprile 2021

LA CORNA LONGA

 

 
La Corna lunga (1158 m) vista dal Monte Ucia (1168 m). Questa cima è molto frequentata dagli abitanti di Serle, che la chiamano "La Corna dè Caì, e vi hanno costruito una Santella alla Vergine e un altare per celebrare la Messa.



mercoledì 14 aprile 2021

IL LAGHETTO DI CAINO

 


Il Laghetto è sicuramente uno dei luoghi naturali più suggestivi di Caino. Peccato che l'attenzione sia puntata solo sulla Valle di Bertone.

lunedì 12 aprile 2021

DIRETTAMENTE DALLA MOSTRA FOTOGRAFICA

A volte bisogna abbassarsi per poter osservare meglio un bell'angolo naturale. Sopra c'era il guado di Ponte Tegolo.
 

martedì 6 aprile 2021

UNA GROTTA TRA I NOSTRI MONTI


 Sotto la Cornalunga si trova questa grotta dove qualcuno sostiene di aver trovato delle conchiglie. Tutto è possibile.

martedì 30 marzo 2021

LA PIANTA NELLA ROCCIA

 

Non c'è solo la spada nella roccia, allo "Stallino", sopra "Gnoal", c'è questo albero che non si capisce da che radici si tenga in vita. Forse, come tanti esseri umani, ha solo bisogno del suo ambiente naturale.

lunedì 29 marzo 2021

ANGOLI NATURALI

 

Passeggiando sulla Vià Noa ci si può imbattere in questa piccola cascatella che rende più piacevole e più apprezzabile quello che ci circonda.

venerdì 19 marzo 2021

UN TESORO CHE SCARSEGGIA

 

Come l’amore, di cui è pure emanazione, anche l’amicizia è un termine abusato, che spesso non viene attribuito a un reale sentimento.

Si parla di amicizia quando ci si frequenta al bar o alle feste; quando la si richiede in Facebook; quando ce la attribuiamo riguardo a una persona nota che abbiamo conosciuto appena; quando riteniamo di averla in virtù di interessi comuni o perché lavoriamo assieme; quando pensiamo che basti un tratto di cammino per essere amici.

Tutto questo può essere di aiuto a conoscersi, ma quanto ad essere veramente amici ce ne passa. Tanto per citare un esempio: un giorno mi è capitato di rispondere al post di un “amico” in facebook precisando il mio pensiero; ne è seguita una reprimenda antipatica, solo per aver messo in discussione la sua verità. Chiamarsi amici e non accettare il confronto non è segno di amicizia.

Spesso assistiamo alle “amicizie” di chi finge di essere d’accordo (anche quando non lo è): questo io lo chiamerei tornaconto.

Tutte quelle volte che sento dire - Io ho un sacco di amici! -  mi chiedo se veramente quello ha conosciuto la vera amicizia. Se gli amici rimasti a Gesù Cristo sono quelli rimasti sotto la Croce come si può pensare di essere più fortunati di Lui? Non è forse perché ancora non siamo stati messi a dura prova?

Perché avrebbero coniato un proverbio così calzante come “Chi trova un amico trova un tesoro?”

Un vero amico ti ha già fatto la radiografia e conosce perfettamente i tuoi pregi e i tuoi difetti ed ha deciso che su di te può contare, ed anche lui.

Sa che nessuno è perfetto e qualche volta lo deluderai, ma rimarrà al tuo fianco comunque e cercherà di farti ragionare per dissipare tutte le incomprensioni.

Sa che è il cuore a misurare l’amicizia e sa di poter contare sul tuo. Sa che nel momento del bisogno potrà appoggiarsi a te e tu a lui e che farà i salti mortali per poterti aiutare.

Forse lo manderai a quel paese quando non vorrai ammettere di aver sbagliato, ma poi lo richiamerai pentito perché sai che gli è costato contrariarti, ma l’ha fatto per te, non per essere più bravo.

Quando tutti ti volteranno le spalle dicendo ogni cosa su di te, lui ti sarà vicino per difenderti se avrai ragione, a giustificarti se avrai torto, perché conosce il tuo cuore e sa che se anche avessi sbagliato hai il coraggio e la forza per rimediare.

Avere il cuore in comune significa amarsi e accettare i limiti della persona amata, proprio come una coppia di fidanzati; forse è per questo che non credo possibile la stessa amicizia tra un uomo e una donna.

È un sentimento considerato superfluo, specialmente per le persone coniugate, invece andrebbe rivalutato per l’importanza che ha.

“Tra moglie e marito” l’unico a poterci “mettere il dito” è proprio l’amico (vero) che può essere un valido intermediario nei momenti di crisi e che non è certamente quello che ne approfitta per “sostituirlo”.

Mi sono chiesto spesso perché sia così difficile avere un amico e ho trovato una sola giustificazione: siamo troppo individualisti e viviamo in una nazione dove la maggioranza dei suoi abitanti non ha grandi problemi. Si spiegherebbe così del perché durante le ultime due guerre si sono cementati dei rapporti di amicizia che sono sopravvissuti fino alla morte. Sarebbe stato il “bisogno” a coltivare i rapporti, alcuni dei quali sono rimasti nel tempo.

Oggi non ci rendiamo conto di quello che perdiamo a non possederla. Avere un amico significa avere gioia, condivisione, energia e comprensione.

C’è un solo pericolo che rende fragile il legame: il tradimento o l’abbandono. Rendersi conto di averlo fatto impone due scelte: o chiedere scusa confidando di essere perdonati o perdere l’amico.

Auguriamoci tutti che questo sentimento non si faccia sentire troppo tardi, nel momento in cui la persona che poteva essere “amica” vera lascia per sempre questa terra. Avremmo sprecato una grande occasione portandoci appresso il dolore per la perdita e il rimorso per la nostra ottusità.

sabato 20 febbraio 2021

TRISTE ANNIVERSARIO

 

È passato un anno dal riconoscimento del primo caso di coronavirus a Codogno. Da allora centinaia di morti ogni giorno, hanno portato lutto e tristezza in tantissime famiglie.

Nonostante questo siamo riusciti a dividerci sui comportamenti da tenere, favorendo in questo modo l’espandersi di questo pesante flagello in nome di un diritto effimero, quello dell’ “interesse economico”.

Come se non bastasse, ancora oggi, qualche rappresentante regionale invoca l’allentamento delle misure restrittive “per dare ossigeno alle attività produttive”, quasi che queste non abbiano una ricaduta sulle persone che ne sono interessate.

Concordiamo tutti sulla necessità di avere un giusto equilibrio tra il vivere quotidiano fatto di lavoro e di servizi, e la necessità di bloccare definitivamente il contagio, ma non è tollerabile che si abbandoni il buon senso riducendo le difese alla vita umana. La vita è la cosa più bella e più grande che abbiamo, insieme all’amore e alla solidarietà e non la possiamo barattare con nessun interesse economico perché ognuno può decidere di rischiare in proprio ma non deve essergli consentito di mettere in pericolo altre persone.

Se non sconfiggeremo il virus verrà a mancare ossigeno a tutta l’economia nazionale e sarà un disastro per tutti. Già sappiamo che una parte di popolazione per età, per fatalismo, per ignoranza, per ripicca, per dispetto o per la semplice voglia di far del male, come è sempre stato, non si è preoccupata e non si preoccuperà se i contagi aumenteranno, almeno fino a quando siano coinvolti di persona, ma almeno gli altri osservino le indicazioni che ci vengono dalle autorità sanitarie, che certamente ne sanno un po’ più di noi.

Infine, pensiamo a quei medici e infermieri che dopo una giornata trascorsa a confortare il nostro papà o la nostra mamma, ritornando a casa tristi e sconsolati per aver visto persone morire ed altre in gravi difficoltà per il virus, vedono comportamenti incredibilmente rischiosi commessi con assoluta normalità e leggerezza. Come si sentiranno? Non basteranno mai i nostri “grazie”.

Ora che si è aperta una finestra nuova nella politica italiana si è anche illuminata la speranza che tutti mettano le loro migliori capacità per far fronte ai disagi e rafforzare la lotta alla pandemia e raggiungere così la normalità che ci consenta di rilanciare, economicamente e socialmente, la nostra bella Italia.