venerdì 29 novembre 2019

MICINIGO LA ROCCA DEL GALLO


Quella che diventerà  “Contrada di Micinigo” era un’antica Rocca, ricostruita e irrobustita da Talliano del Friuli, a servizio del Piccinino, durante la contesa tra milanesi e veneziani nel 1439.
In dialetto Misinig deriva da Mocenigo. I Mocenigo erano una nobile famiglia di Venezia che diede alla città alcuni Dogi ed a Brescia diversi capitani incaricati del governo della nostra città. La leggenda vuole che uno di questi capitani si sia ritirato alla fine della carriera a Caino, dando così il nome alla contrada.
Dell’antica fortezza, Micinigo, conserva ancora l’impronta. Locali, scale, sotterranei con la loro disposizione testimoniano un ambiente di raccolta della popolazione e della loro difesa. Non abbiamo disegni dell’epoca ma possiamo supporre che l’attuale portale fosse l’ingresso della Rocca antica, mentre l’ingresso della Rocca ricostruita da Talliano doveva essere più avanti, all’altezza dell’abitazione di Bertacchini Giuseppe.
La presenza di tanti locali all’esterno del vecchio ingresso paiono avvalorare questa ipotesi. Il corpo centrale del castello è quello prospiciente il cortile interno che si sviluppa sul retro verso il centro del paese e che certamente si affacciava sul prato circostante con alte mura. I locali tutto intorno dovevano costituire punti di servizio e di difesa.
E’ citata in cronache bresciane del 1500 come Rocca del Gallo, ma pare che le sue origini risalgano all’anno 1000 per la difesa della popolazione dalle ultime invasioni barbariche degli Ungari.
Più tardi divenne il riferimento del Comune: all’interno delle sue mura accorrevano le famiglie con le masserizie e il bestiame nei momenti di pericolo.
Nel corpo centrale, parte bassa, dove ora abita P. B., abitava Borra Carlo con la moglie Annunziata e i figli Giuseppe e Maria (trasferitasi a Vallio). Lì si stabilì il figlio Giuseppe con la moglie Domenica Prandini (Burilì) e i figli P. e B.  Al primo piano un’altra famiglia Borra con Anì (genitori di Giuseppe (Calìo) e Luigina sposata ad Anfo); una famiglia  Bertacchini con Elvira, genitori di Armida;  gli antenati del Bülì e Borra Martina (la Bülina) nonna paterna della Fernanda. Il Bülì sposò Rossi Armida e vissero con il figlio Nino (Trinchèl). Sempre nel corpo centrale visse col marito Borra Pierina ( de la Ditta), mamma di Felice, nonna di L. e T., suocera di Maria Ferandi di Vallio, anch'essi abitarono il primo piano. Ancora nella parte bassa del corpo centrale abitava Bertacchini Pietro fu Francesco con la moglie Bertacchini Domenica (Cudic, nonna materna Fernanda) e i tre figli: Martina, Mario e Giuseppe. Sul retro abitava la famiglia Bertacchini Giovanni con Dosolina Maestri, genitori di Bortolo, Angelo e Principe; in quella zona, dove c'è il portone, si svilupparono due discendenze: quella di Mosè e Abramo (Cudic), quest'ultimo con moglie e quattro figli: Angelo (Gòp), Domenica, Giacomo e Giovanni (Gioanì). Giacomo rimase in questa casa con la moglie fino alla loro morte poi fu occupata per un po' di tempo dal figlio Rolando fino al suo trasferimento a Villa Mattina. Ora la casa è occupata da B. C. La parte sopra era dei Mosè e oggi costituisce l'abitazione di S. A. e la moglie C. P. Fuori dal portone, sulla destra, si notano delle scale, lì abitò un certo Spagnoli (Tapèt). In seguito abitò Bertacchini Angelo con Ghidini Gelmina con i figli G. e A., oggi vi risiede C. D. 
Staccata dal corpo centrale, attaccata alla sinistra del portale ad arco, c'è la casa oggi abitata da Rossetti Aldina. Qui vissero Bertacchini Giovanni (Gioanì), la moglie Borra Maria e i figli Giuseppe e Angelo. Una volta sposatosi, Angelo e la moglie Aldina, abitarono la casa con i genitori. Giuseppe, appena sposato si trasferì nella nuova abitazione, sulla sinistra esterna, sopra la fontana. 
Nella parte esterna sinistra, lungo la strada provinciale, dopo la casa di Giuseppe, troviamo la casa dove abitò, nella parte bassa, De Giacomi Pietro dei Burtulì con Spagnoli Faustina e poi i figli Paolo, Pietro (Pio), Rosina (Pia), Maddalena (Pinì), Silvia, Angela (Giulietta) e Pasqua (Esterina); Esterina fu l'ultima a lasciare la casa. Nella parte superiore abitava De Giacomi Paolo con De Giacomi Agnese e i figli E. e D., la nonna Emma e a volte dalla montagna arrivava lo zio Bèsi. 
A sinistra della casa dei Burtulì, guardando l'ingresso, c'era stalla e fienile divisi tra due proprietari: Bertacchini Giovanni (Gioanì de Cudic) e Borra Giuseppe (Calìo): ora la casa dei Burtulì e la stalla e fienile ristrutturata, sono proprietà di B. M.a destra c'era pure un'altra stalla e fienile di Borra Felice, che fu acquistato da Bertacchini Martina per trasformarlo nella sua abitazione: ora ci abita la figlia Benini Fernanda. L'ala termina con l’abitazione degli eredi di Mora Giuseppe, subentrato allo zio Mora con Pierina che non hanno avuto figli. La parte iniziale del caseggiato sulla destra esterna costituiva l'abitazione dei Arcangei con i figli Angelo e Faustino; inizialmente vi abitò Angelo (Arcangilì) con la moglie Zucchini Caterina e i figli D., G., M. e A.; poi è subentrato il fratello Faustino con De Giacomi Fausta e i figli M., M., L., A. e M.; segue l'abitazione contigua di Bertacchini Umberto e Zanoletti Elide un tempo abitato con le figlie G., M. e S.; oggi tutta questo immobile è di proprietà di Bertacchini Umberto. Ad angolo, chiude la casa di Bertacchini Francesco e la moglie Noventa Maria con i figli Pietro e Caterina. Come anello di congiunzione con il corpo centrale c’è l’abitazione che fu di Borra Lorenzo e Moretti Vittorina, ora dei figli E. ed A.
  Angelo, Angela e Fernanda

mercoledì 27 novembre 2019

CHE CONFUSIONE...


In nome del popolo italiano… gli italiani prima di tutto. Sono le frasi più ricorrenti pronunciate da tutti i politici che conosciamo.
Ma perseguono davvero tutti l’interesse nazionale? C’è ancora la destra e la sinistra? È ravvisabile una visione economica prevalente o camminiamo nella nebbia in attesa che qualcuno ci accenda una lucina per fare un altro passo?
Non c’è proprio da stare allegri. Se gli italiani sono arrivati al punto di premiare col loro consenso quelle forze politiche che neanche governando con una maggioranza schiacciante ci hanno migliorato la vita, anzi, vuol dire che siamo più disposti a una deriva autoritaria seguendo una linea coerente piuttosto che continuare in una democratica confusione. Ma che ne facciamo di tanti cervelli, che tutto il mondo ci invidia, se non sanno indicarci una coerente strada da percorrere? Nessuno disposto a difendere con coerenza e perseveranza le proprie convinzioni a favore di questo popolo? Intendiamoci, siamo un po’ tutti colpevoli per la deriva assunta da questo nostro Paese. È l’etica di ciascuno di noi che ha favorito la classe politica che abbiamo. Se ognuno si fosse pentito dei piccoli peccati commessi contro la Nazione (soprattutto pagando o lavorando in nero) e di conseguenza avesse difeso valori e principi validi per tutti evitando di difendere “chi” ci faceva comodo, oggi avremmo una burocrazia più efficiente e una classe politica più preparata e più disposta a servire con coraggio il proprio Paese, cosa di cui abbiamo un bisogno estremo.
Mentre ci lamentiamo delle piccole tasse, spendiamo un sacco di soldi, che diciamo di non avere, in viaggi, vacanze e ristoranti. Quelli che erano poveri ora sono alla canna del gas, mentre tutti gli altri possono permettersi scelte che per i tempi che stiamo attraversando sono da considerare di lusso. Questi ultimi a loro volta sì dividono in due categorie: la prima è ricca grazie al proprio lavoro, mentre la seconda lo è perché ha preso delle scorciatoie. Stiamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità! È una campana che dovrebbe risuonare ogni giorno per convincerci che ci sono delle priorità che ci dovrebbero impegnare tutti nel portarle a compimento, consapevoli di dover fare un piccolo sacrificio per realizzare una fiscalità più equa. Migliorare la nostra società, anche economicamente, vorrebbe dire infatti portare benessere ad ogni famiglia, ma per farlo occorrono quattrini e per una volta bisognerebbe che tutta la classe politica fosse chiamata, insieme per il bene dell’Italia, a scegliere la strada da prendere e dove reperire le risorse.
Qualcuno ha detto che non esiste più destra, sinistra e centro. A parte che le stesse persone scrivono sui “loro” giornali che al Governo ci sono quattro sinistre, ma è evidente in ogni caso che ci sono due “sindacati”: quello che difende il capitale in tutte le sue forme e quello che vorrebbe rappresentare i dipendenti e i pensionati, anche se fatica a riuscirci. Se ogni partito contenesse uno statista si troverebbe il giusto compromesso per accordarsi e costruire insieme un piano, non solo industriale, ma civico e sociale insieme, degno di quello che siamo, invece che accapigliarsi per ogni nonnulla sollevato come bandierina territoriale. Ne abbiamo visti di eccessi di difesa, di destra e di sinistra, e non ci hanno mai portato risultati positivi. Se continueremo sulla stessa strada ci troveremo di sicuro con un governo stabile, ma pagheremo cara la nostra cocciutaggine nell’aver creduto che fosse possibile coniugare un sano bilancio statale e la riduzione del debito colossale con insostenibili promesse elettorali senza pagarne un prezzo salato.
L’unico modo per non farsi male è quello di accordarsi. Ma ci riusciranno?