sabato 22 ottobre 2022

LETTERA APERTA AI CRISTIANI

 


Nonostante il tiepidume che avvolge la mia vita cristiana, mi sia consentito di offrire il mio contributo di discussione sulla costituenda Unità Pastorale. 

Innanzitutto, ci tengo a precisare che non è, e non può essere messo in discussione, la centralità del “pastore” che conduce il suo gregge, sia esso sacerdote, vescovo o Pontefice. Questi sono l’unico aiuto che l’uomo ha per migliorare la propria vita cristiana e quindi “salvarsi”. Non è pensabile una buona Unità Pastorale senza una guida sacerdotale. Ciò non esclude che una Unità Pastorale possa svilupparsi autonoma e in modo armonioso e laico, ma personalmente la considero una grande utopia.

Comunque la vogliamo vedere è sotto gli occhi di tutti il risultato della secolarizzazione. L’adeguamento alla cultura moderna ha ridotto la sensibilità verso il Sacro, la persona (se non addirittura gli animali) è diventata il centro della nostra attenzione e di tutta l'esistenza umana. Questo ci ha reso enormemente più fragili. Giusta la fraternità, la solidarietà e la giustizia, ma non basta.

Il benessere (chi non lo riconosce faccia i dovuti paragoni coi tempi delle emigrazioni) ci ha allontanati dalle pratiche essenziali della nostra religione intruppandoci nella cultura del materialismo e dell’indifferenza.

Se così non fosse, davanti alle emergenze che ci stanno davanti, ci saremmo già messi in ginocchio pregando Dio di avere misericordia di questa umanità così poco riconoscente. Mentre i nostri fratelli cristiani, nel mondo soffrono la persecuzione, nelle chiese si ode appena il sussurro di qualche preghiera rituale la domenica. Vorrei proprio sbagliare; magari tante persone stanno pregando con passione elevando novene e suppliche, ma temo che con i conventi, monasteri e seminari vuoti sia venuto a mancare il volano principale che sfornava cuori donati a nostro Signore in riparazione delle nostre debolezze. Più accumuliamo iniziative nelle comunità parrocchiali, meno persone entrano in chiesa. Perché? Io non lo so, quello di cui sono sicuro è che non dipende dalla pandemia, dal caro-bollette, dalla povertà, dal lavoro o altro; se così fosse le chiese dovrebbero riempirsi (almeno dai cristiani) per pregare l’Onnipotente affinché esaudisca le nostre suppliche.

Quanto sono lontani i tempi in cui le nostre mamme e nonne salivano con devozione ai santuari per ottenere la salvezza dei propri cari al fronte. È quella devozione che si è persa, un sentimento che vale più della stessa preghiera. Abbiamo sottratto alle celebrazioni liturgiche il raccoglimento per  il timore di trattenere troppo a lungo i fedeli in chiesa, come se gli sbuffi e i colpi di tosse dei frettolosi fossero segni importanti da tenere in considerazione per non privarci della loro presenza. È servito a qualcosa? Questi cristiani si sono allontanati ugualmente perché in chiesa non hanno trovato il Sacro, non hanno trovato il clima che favorisce i sentimenti, l’amore verso Gesù che ritorna ogni volta sotto le specie del pane e del vino per donarsi Divinamente ai suoi amici. La nostra è la Religione più amorevole che esista al mondo, eppure nella pratica (celebrativa ed umana), in Occidente, siamo dei nanerottoli a confronto dei nostri fratelli perseguitati. È duro e triste ammetterlo, ma spesso viviamo di tradizione e non di sentimento. Per cambiare non ci servono corsi biblici, sinodi, convegni o indottrinamenti particolari, serve riprendere la strada degli esercizi spirituali e creare spazi di silenzio durante la Messa e i sacerdoti devono dichiarare apertamente e con forza quali sono i confini che non si possono superare per mantenersi in armonia con Dio e con i fratelli. Far conoscere con tutta l’autorità possibile quanto sia pericoloso satana, se Dio non ci tiene per mano. L’esposizione del Santissimo poi, è una iniziativa importantissima perché chiama ciascuno di noi a passare un po’ di tempo con Gesù. Qualcuno ha paura del confronto perché si ritiene incapace ad esercitare questa pratica contemplativa (Chè noi sö a fa). Qualcuno dovrebbe spiegare che non è richiesto proprio niente: desiderare di ricevere la Sua compagnia e affidarGli i nostri problemi è più che sufficiente.

Se con il sacerdote vicino non siamo riusciti a costruire la “grande famiglia dei cristiani”, come faremo quando anche questo ci verrà tolto? La tentazione di creare un tramite tra una comunità parrocchiale e un “vicario” nel segno della tradizione non lo vedrei come stimolo alla conquista di una vitalità nuova. Vedrei meglio l’individuazione (da parte del vescovo o del vicario) di una persona benvoluta dalla popolazione ed esempio di fede vissuta, capace di suggerire o raccogliere modi e tempi per pregare e per stare assieme. Potrà la distanza dal sacerdote far scattare nella comunità cristiana una nuova energia o i fedeli saranno costretti ad “emigrare” in cerca di ragioni profonde per cui vivere? Cominciamo a pensarci!