giovedì 29 agosto 2019

ASPETTANDO...


Nella mia testa l’Ospice era l’ultima dimora terrena di un condannato che non si rendeva per niente conto di dove si trovasse esattamente. Allorquando, per necessità, ho dovuto fare i conti con questa struttura, questo mio ragionamento è stato smontato alla vista di persone che giravano nei corridoi col corredo delle loro flebo, probabilmente antidolorifici.
Nel turbamento per la scoperta di questa nuova realtà, ho provato a interrogarmi su cosa possa passare nella testa di quei pazienti che, con apparente naturalezza, vanno incontrando nei corridoi i parenti dei ricoverati. Non essendo possibile una relazione diretta per ovvie ragioni, una risposta ai miei interrogativi non c’è. Allora ho cercato di immedesimarmi in quello stadio di malattia e ragionare per me stesso dal momento che è arrivata la sentenza: ti rimangono pochi giorni di vita.
È il primo trauma, tanti che siano, hai poco tempo da dedicare alle tue passioni, ai tuoi interessi, ai tuoi cari. Ogni giorno che passa il cuore viene schiacciato sempre di più in una morsa implacabile ed aumenta la sensazione di panico.
Sei solo a lottare contro la morte perché sei cosciente che nessuno può cambiare il corso degli eventi. Non voglio morire! Purtroppo è necessario prepararsi al passaggio, un salto nel buio al quale solo i Santi sono preparati.
Immagino che la Fede possa aiutare molto, ma lasciarsi andare, rassegnarsi e prepararsi richiede una notevole forza d’animo e questa forza, per chi non ce l’ha, va trovata con l’aiuto di qualcuno in cui si crede, che sia amico o familiare.
Come vivere quello che rimane?
Gli sviluppi della malattia possono concedere di stare nella propria abitazione o rendere necessario il ricovero in strutture specializzate come l’Ospice.
Nel primo caso non so come agirei. Non so se reggerei le visite dei parenti e conoscenti o se invece cercherei ogni tipo di contatto. Non so neppure se sarei in grado di vedere con altro occhio le cose che mi hanno circondato ogni giorno fino alla sentenza. Di una cosa però sono sicuro: vorrei godermi fino alla fine la mia famiglia.
Ricoverato in una struttura sarebbe sicuramente più triste è avvilente. Il ritmo delle visite parenti con quelle del personale medico-infermieristico, i familiari costretti a convivere in una struttura controllata, renderebbe più penosa la permanenza.
E una volta solo? Guardare la sera finire e la notte a cominciare pensando cosa? Che il tempo vola via veloce! Cosa mi attende? A te che cammini trascinando il tuo trespolo, cosa vai pensando? Stai cercando di mostrarti forte per attenuare la sofferenza dei tuoi cari? O hai accettato il responso come un soldato mandato in battaglia? È accaduto a tanti. Questa volta tocca a me.
Nell’ultimo contatto coi nostri simili forse ci renderemo conto di come siamo riusciti a complicare le nostre relazioni e i nostri sentimenti. Non c’è più tempo per rimediare, c’è solo il tempo per interrogarci sulle azioni compiute.
Dio mio, vienimi incontro, aiutami a staccarmi senza paura da questa vita terrena con la certezza che Tu mi stai aspettando.