Pensare e riflettere apertamente non
è un contegno che porti molti complimenti, anzi, sicuramente quelle persone vengono
regolarmente fatte mira di critiche e pettegolezzi per essersi permesse di
mettere in discussione il pensiero comune predominante, predominante in quanto
portato dalle persone che contano. E quelle persone magari contano perché nessuno
ha il coraggio di obiettare quando il loro comportamento è ritenuto sbagliato o
incoerente. Contano … sul silenzio di tanti. Volesse il Cielo che invece, da
noi, il pensiero corrente venisse esclusivamente da persone sagge.
Lo so, non è una novità. E’
sempre stata così! E’ vero, ma io cerco chi non ci sta; quelli che cercano una
comunità che vuole migliorarsi fondando il recupero (ormai) sulle nuove
generazioni che sappiano mettere l’accento su quello che non va sfidando paternalismo
e incoerenza. Se osservate face book noterete che se uno parla o mostra un
animale ha centinaia di condivisioni e commenti; se invece prova a dire come la
pensa su un argomento viene ignorato quasi completamente; è premiato chi la
spara più grossa su qualsiasi argomento, tanto non deve risponderne
personalmente. Siamo conformisti. Di per sé il conformismo non è sinonimo di
cattiveria o inciviltà. Essere conformisti su quanto crediamo profondamente è
un pregio e una qualità che viene dalla coerenza e che merita profondo rispetto.
Spesso però deriva dalla paura di
esprimere il proprio dissenso guardando negli occhi un’altra persona,
giustificabile quando umanamente uno non ce la fa, ma segno di debolezza
sociale quando ci si vuole nascondere nell’anonimato per non danneggiare un
possibile alleato o ledere un particolare interesse.
Mettiamo sul banco degli imputati
tutti i conformisti? Ci mancherebbe. Però il parlarne non guasta e permette di
inquadrare il conformismo come ostacolo al miglioramento della comunità locale,
senza del quale non possiamo partecipare a migliorare quella più grande.
Ricordiamoci che chiunque voglia
farci fare o dire una cosa che non condividiamo è un potenziale profittatore
della nostra buona fede e ci deve indurre a stare in guardia; le autorità sono
tali se sono al servizio delle comunità che rappresentano e sanno interpretare
i loro malesseri, non se contano sul silenzio di tanti sul loro modo di comportarsi.
Leonardo Sciascia né “Il giorno
della civetta” faceva dire al “padrino”:
"........e
quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità,
bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezzi
uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) piglian…. e i quaquaraqua.
Pochissimi gli uomini; i mezzi uomini pochi, che mi contenterei l'umanità si
fermasse ai mezzi uomini. E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi:
che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse
mosse dei grandi. E ancora più in giù: i piglian…., che vanno diventando un
esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere con le anatre nelle
pozzanghere, chè la loro vita non ha più senso e più espressione delle anatre".