venerdì 22 febbraio 2019

LA STRADA INTERNA CHE PORTA AL PASSO ERA LA VIA DEI NEGOZI


 

Sotto il muretto che costeggia la provinciale, scorreva il torrente Re, al quale si recavano le donne per lavare i panni; provenendo dalla Madonna delle Fontane, si biforcava dietro l’attuale monumento dei caduti per dirigersi verso l’antico mulino. Risalendo dalla fontanella del "Passo", c’era la casa dei “Sechi” (Azzani Faustino) vicino alla quale la famiglia Benini (Nina con la gibbosi) macinava la farina. Al termine della salita la famiglia Borra Pietro (Fetzö) gestiva un forno e il vecchio negozio di alimentari. A seguire si affacciava sulla via un portone (proprio dove ora c’è l’Ufficio Postale) che conduceva al retrobottega di Ferrami Battista, meccanico e gestore delle pompe di benzina e miscela. Poi si affacciavano i gradini della merceria della “Caldi” (Serafina) gestita dalla Dina e Angelo Brozzoni. Divisa da una casa di abitazione la macelleria di Riccardo Azzani che serviva tutto il paese, con macello sul retro al quale si accedeva scendendo sotto il “volto” sulla curva. Seguiva il negozio alimentari di Primo Piscini con sottostante forno, seguito al banco dalla cordialità della Lina Senici. A fianco l’abitazione di Diodato Gnutti, alla quale si accedeva con qualche gradino dove spesso lui si metteva seduto a conversare coi passanti. La casa dove ora c’è la macelleria era di proprietà di Comini Paolo; lì veniva a soggiornare per tutta l’estate l’ing. Gino Casnighi. Sopra abitava Comini Colomba, sorella del proprietario. Poi il “volto” che portava alle abitazioni sottostanti, sulla destra (ora in rovina) abitò Terzio Bettini (poi la famiglia Mombelli), la famiglia Picchi (che perse la figlia Sabrina nell’alluvione del 1968) e la famiglia Piscini. Sulla sinistra si accedeva all’abitazione della famiglia Azzani Pietro, la famiglia Bertacchini Pierino, Benini Palma con Bettini Umberto (Gioanì) e le figlie Angela e Carmelita, la famiglia Maggiori Davide (Ferantì) e la famiglia Mora Pietro con i figli Teresina, Santina, Rosa, Luigi e Giovanni.

Angelo e Angela


(Rimaniamo in attesa di tutte le integrazioni o correzioni, che andremo volentieri ad aggiungere per la conservazione del ricordo storico di questa contrada)

venerdì 23 novembre 2018

ETICA E IPOCRISIA


Quante volte abbiamo sentito giustificazioni e determinazioni in nome del “popolo”, ma di quale popolo si tratti lo si vede dai risultati: la popolazione più povera diventa sempre più povera. Nessun partito è esente da responsabilità: tutti infatti hanno parlato bene e razzolato male in nome di un potere che hanno cercato in tutti i modi di tenersi stretto, lasciando inascoltate le richieste provenienti da una gran parte di società che invocava aiuto. Dal 4 marzo, le forze che volevano il cambiamento, hanno ricevuto una delega pesante in termini di voti, ma con numeri insufficienti per governare da soli. I due partiti principali, costretti a stare insieme con programmi differenti, hanno così potuto constatare quanto sia difficile passare dalle parole ai fatti.
“In nome del popolo italiano” stanno minando quel minimo di stabilità che aveva bisogno si di una sana revisione, ma non di un salto nel buio che ci sta conducendo verso il baratro. E noi, nonostante questa manovra disastrosa, nonostante i lamenti che si alzano da una grossa fetta della popolazione italiana che fatica a mettere assieme il pranzo con la cena, tranquilli che quelle scelte vadano bene per noi, continuiamo, come prima, a riempire le cabine delle navi da crociera, ristoranti e pizzerie, senza fiatare, come se fossimo la nazione più benestante al mondo.
Dove è finita la solidarietà e la giustizia sociale? Dove sono quelle politiche che servono ad aumentare l’efficienza dello Stato, ad aumentare davvero la sicurezza, ad aiutare i più deboli, a sconfiggere l’evasione fiscale, a eliminare gli sprechi, migliorare la sanità e fare in modo che la scuola faciliti l’ingresso nel lavoro dei giovani? Tutte queste cose sarebbero possibili solo con il recupero di risorse per mezzo di controlli a tutti i livelli da parte della Guardia di Finanza, dai Carabinieri e dalla Polizia in grado di poter assolvere al proprio compito con un numero adeguato di personale da poter individuare a campione chiunque sia da ostacolo alla formazione di una solida ed efficiente finanza statale basata sul rispetto delle regole. Questo dispiegamento di forze ha un costo non indifferente che però è in grado di ripagarsi ampiamente. Ma bisogna volerlo. Paradossalmente sono in pochi ad auspicare che questo avvenga. Il lavoro nero trionfa in ogni dove e riguarda tutti da vicino. Grazie anche alla miopia e i cattivi esempi di buona parte della classe politica, oggi non esiste una diffusa etica statale bensì un’etica narcisistica che cerca prima di tutto il proprio tornaconto.
Si ripete quello che sta avvenendo nell’ambiente: chi non è toccato dall’inquinamento che uccide non si scomoda per chi viene avvelenato; non protesta. L’evasione fiscale, come l’ambiente, ci avvelena; è il nostro più grande problema, quello che ci condanna a non avere soldi per dare risposte giuste ai cittadini in difficoltà; che ci spinge ad offrire alibi alla cattiva politica distruggendo la convivenza civile.
Nonostante il giornalismo d’inchiesta ci metta sotto il naso ogni giorno ogni sorta di imbroglio, continuiamo ad affidarci a coloro i quali si definiscono salvatori della patria (di ogni colore vestiti) anche quando ci fanno del male in modo palese.
Viviamo nell’ipocrisia quotidianamente e la maggior parte di noi è rassegnata a conviverci perché la mancanza di etica da parte dei singoli impedisce di vedere l’onestà e la determinazione di qualcuno che non si rassegna a veder calpestati i diritti dei più deboli e si industria per smascherare i “pupari” e le loro marionette. Se non riusciamo a scorgere quello che è bene e quello che è male per i nostri figli e per i nostri nipoti rimarremo schiacciati nelle nostre case con i nostri piccoli interessi. Già siamo riusciti a condizionarli nella loro legittima aspirazione ad esprimere in piazza il loro pensiero in nome della difesa di un “buon comportamento”, il nostro, (come sono lontane le stagioni della protesta degli studenti), poi ci pensiamo noi a difenderli dagli insegnanti se sono piccoli o lasciamo che lo facciano loro se sono grandi.
Ipocrisia e mala politica vanno a braccetto! Guardiamo negli occhi i nostri figli e chiediamoci se meritano quello che gli stiamo preparando.

lunedì 29 ottobre 2018

18 NOVEMBRE: SI o NO?


Il 18 novembre i cittadini della provincia di Brescia sono chiamati ad esprimersi sulla gestione dell’acqua pubblica. Anche a Caino i partecipanti all’assemblea pubblica del 25 ottobre scorso hanno ascoltato le valutazioni del Presidente e dell’A.D. di ASVT, ma dubito che i concetti siano stati di facile comprensione.
Nemmeno leggendo le motivazioni del SI e del NO si riesce a dipanare l’intricata matassa che mescola “l’utilità pubblica” del servizio, l’ideologia e la speculazione.
Sappiamo per certo che le Autority continueranno ad essere quelle che governano attualmente il sistema idrico e che in ogni caso le tariffe sono destinate ad aumentare. Allora cosa potrebbe cambiare? È questo che non è chiaro. La gestione privata ASVT/A2A, per quanto ci riguarda come paese, ha dato prova di efficienza sapendo intervenire rapidamente nei momenti di emergenza, mentre un Ente pubblico dovrebbe sottostare a regole burocratiche non indifferenti; ma che ne sappiamo noi di quanto frutta alla A2A questa indipendenza? Dal giornale di Brescia del 28 ottobre 2018 apprendiamo che per il depuratore di Concesio dal costo complessivo di 32.986.147,25 Euro l’A2A riceve un contributo a fondo perduto dalla Regione Lombardia di 14.154.209,10 Euro; a Nuvolera sul costo complessivo di 5.113.874,35 riceve un contributo di 2.778.857,79. La parte rimanente viene pagata dai cittadini con la tariffa. Se è vero che i contributi a fondo perduto riducono il peso da addossare agli utenti, rimane tutto da misurare il valore e la convenienza di A2A. D’altra parte se la gestione fosse integralmente pubblica l’Ente sarebbe costretto ad indire una gara per ogni singolo intervento con lungaggini che non sono difficili da immaginare. Ma anche ammesso che si trovasse il modo di velocizzarli, dove andrebbe a trovare il denaro per gli interventi?
È su questi aspetti che il pragmatismo si separa dai buoni propositi di affidare alle Istituzioni interamente pubbliche la gestione del bene supremo dell’acqua.
Con l’eliminazione degli ingorghi burocratici e un sufficiente finanziamento agli Enti di gestione tutto sarebbe possibile, anzi auspicabile, con il coinvolgimento attivo della popolazione e fors’anche degli enti no-profit. Purtroppo siamo lontani dalla realizzazione di questo sogno e il 18 novembre ci toccherà decidere se forzare la mano ai nostri politici perché rispondano con interventi conseguenti alle ragioni del SI o accettare lo status quo come suggerito dai suoi oppositori, sapendo che molte altre province guardano a noi per capire da che parte sta la ragione.  

sabato 1 settembre 2018

TROPPO TARDI?


Senza tornare troppo indietro nel tempo, basterebbe concentrarsi sulle apparizioni di Fatima o alle più recenti rivelazioni del 12 aprile 1947 della Madonna a Cornacchiola (Roma) per rendersi conto che una gran parte dell’umanità non ha creduto alle parole della Madre di Dio.
Se si uccide Dio, si uccide anche se stessi, si uccide l’anima dell’uomo che diventa cieco e si avvia alla sua autodistruzione.
L’imbarbarimento del comportamento umano, i cosiddetti fenomeni naturali ai quali l’uomo preferisce attribuire carattere eccezionale piuttosto che difendersi da quelli peggiori che seguiranno, la negazione della fede e della preghiera, stanno preparandoci alla fine di questo mondo.
Per frenare l’inarrestabile caduta bisognerebbe pregare molto perché il genere umano si rendesse conto dell’ineluttabile e cominciasse con umiltà ad intervenire radicalmente sui comportamenti, sulle strutture e sul suolo. Ma solo un grande miracolo ormai potrà salvarci. Pare che ai più appaia consolatorio pensare che probabilmente non saranno gli attuali viventi a soccombere, come se non esistessero più i legami umani e i figli degli ultimi viventi non fossero essi stessi di una famiglia.
Purtroppo anche queste leggerezze imperdonabili sono legate al rifiuto di Dio. Non vogliamo vedere, non vogliamo sentire e l’eternità ci ostiniamo a ritenerla una sciocchezza da raccontare ai bambini.
Come possiamo pensare che cessino le calamità, gli odi tra i popoli e tra le persone, il terrorismo e le ingiustizie senza un aiuto soprannaturale a sostegno delle nostre debolezze?
No, temo che ormai sia troppo tardi per rimediare al male fatto alla Terra e troppo tardi per trarci dai guai da soli. E’ sempre stato Dio a liberare l’uomo! L’uomo da solo, nonostante le innumerevoli scoperte scientifiche, non è riuscito ancora a guarirsi dal raffreddore (è un ricordino, questo, che Dio ha lasciato agli uomini di scienza come invito ad essere più umili).
Nonostante questa teoria possa apparire qualunquista, moralista o disfattista, per chi ancora pensa che ci sia un Dio che ci attende come un giusto giudice che stabilirà la nostra dimora per la vita eterna, c’è un sacco di lavoro da fare: contrastare con tutte le nostre forze la mentalità corrente opponendo le nostre convinzioni, come siamo capaci, cercando di essere esempi coerenti, senza lasciarci scoraggiare se non siamo proprio Santi; desiderare di esserlo sarebbe già un grande traguardo; poi pregare, pregare, pregare …

domenica 15 luglio 2018

LE GUIDE DI SAN GIORGIO


Oggi, 15 luglio, ho approfittato della periodica apertura dell’Eremo di San Giorgio per fare una capatina e osservare gli affreschi dopo il primo intervento di restauro.
Non sono un intenditore, ma da quello che ho potuto vedere i lavori hanno evidenziato i tratti in maniera così evidente da mostrare interamente tutta la bellezza, la ricchezza e il significato di quei disegni.
Ma mi ha colpito ancor di più la preparazione che i volontari hanno acquisito stando a contatto con gli abili restauratori. Piacevolmente sorpreso mi sono trattenuto ad ascoltare la descrizione che uno di loro faceva ad un gruppetto di persone sulle rappresentazioni, rispondendo a ogni domanda che gli veniva posta.
E’ un tangibile segno di immersione e condivisione del progetto da parte dei volontari, che trascina tutti i visitatori che passano di là. Quindi non solo disponibilità all’apertura, agli spuntini conviviali nei giorni stabiliti, alla manutenzione della struttura, ma anche documentazione che giustifica l’importanza e l’opportunità di quell’intervento.
Se questa esperienza potesse essere ripetuta in altri santuari e strutture locali, si potrebbe pensare di costituire una Pro-loco che rispolveri di tanto in tanto quello che di bello ci hanno lasciato i nostri antenati.

UN TESORO SU UNO SPERONE DI ROCCIA

Per un ulteriore approfondimento ho voluto interpellare i volontari che mi hanno girato delle informazioni ulteriori, molti le conosceranno già, altri le potranno gradire.

Ogni abitante di Caino lo sa, basta alzare lo sguardo per incrociare quello sperone roccioso che domina la valle principale del paese.
In un ideale percorso spirituale, perché no, anche un po’ penitenziale visto lo sforzo, si può percorrere attraverso un unico itinerario il pellegrinaggio di alcuni santuari del Paese: dopo la parrocchiale, S.Rocco, la Madonna delle Fontane, e in alto appunto S.Giorgio.
Lo sperone roccioso domina con il suo eremo, come una roccaforte a difesa della fede, la nostra piccola valle, intitolato appunto ad un santo guerriero, fin dal medioevo.
Le notizie più antiche ci riportano prima del 1300 d.C., quando il Papa, Nicola IV, concede un’indulgenza proprio a questo piccolo luogo di culto.
Ampliato successivamente in altri due momenti si presenta nella condizione attuale composto da chiesa a due campate, romitorio e locale su due livelli, di cui uno interno che funge da camera e un bivacco sempre aperto seminterrato accessibile dall’esterno (oggi ricovero per escursionisti).
Grazie alla fede della gente del paese ed in particolare ad un mecenate,che verrà anche ritratto, vennero commissionati degli affreschi che risalgono al primo ventennio del XVI secolo; realizzati in tempi diversi adornarono l’altare e l’arco santo di importanti immagini: gli emblemi degli evangelisti, alcuni santi protettori del tempo il culto dei quali era caro ai committenti, il Cristo deposto, una Madonna che allatta il Bambino venerata dal già menzionato mecenate, una classica Annunciazione ed il Cristo Pantocrator in mandorla.
I suddetti affreschi resistiti al tempo e all’incuria sono rimasti a monito di un gesto di fede e di sacrificio, che oggi difficilmente si potrebbe emulare, nonostante la custodia dei monaci Umiliati prima e di eremiti poi venne meno e il luogo fu addirittura sede di brigantaggio o ricovero di animali.
Il luogo si presenta oggi in condizioni assolutamente invidiabili, vista l’età e l’ubicazione non esattamente confortevole; ciò è stato reso possibile grazie alla cura instancabile del suo custode (Umberto Benini) e un folto gruppo di amici che negli anni hanno curato la sua manutenzione.
Il tetto venne ripristinato per salvare la struttura a rischio negli anni ’80 come testimonia un’epigrafe in marmo in marmo presso l’eremo, ma oggi la missione si è spinta oltre.
L’obbiettivo è diventato quello di salvare un’opera d’arte e di culto, restituire per quanto possibile gli affreschi, nel loro stato di conservazione, a quanti più posteri possibile. Grazie allo studio ed all’intervento di tecnici specializzati e ad un progetto verificato ed approvato dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Bergamo e Brescia si sta compiendo un importante intervento di restauro. Di pari passo si è creato un calendario di giornate di apertura dell’eremo per spiegare e valorizzare i lavori ed il loro stato di avanzamento.
Sulla pagina facebook “eremo di S,Giorgio” è possibile recuperare altre informazioni utili o eventuali contatti. Vi aspettiamo per condividere con voi la bellezza del luogo e l’atmosfera che ivi regna inalterata nel tempo.

A nome dei volontari di S.Giorgio

giovedì 22 febbraio 2018

C’ERA UNA VOLTA IL LIMBO

Parlando di date di Battesimo con i nipotini venne fuori da una di loro la seguente domanda: “I bambini che non sono stati battezzati non vanno in Paradiso?”. 
Da piccolo mi insegnarono che chi non era stato battezzato finiva al “Limbo”, uno stato di sospensione che non permetteva di vedere Dio. Si, c’era il battesimo di desiderio e il battesimo di sangue, ma un neonato non era certo in grado di capire. 
Ora non si parla più di quello stato, non solo perché non ci crede più nessuno, ma anche perché è antitetico alla Giustizia Divina.
Come Dio opera in tutte le sue creature per salvarle dall’inferno, così non è pensabile che tutti quei bambini che sono morti alla nascita, o addirittura prima, Dio li castighi con una “sospensione” eterna.
La conseguenza del “peccato originale” è stata riscattata dalla passione e morte di nostro Signore, Gesù Cristo, per tutti quelli che non l’hanno rifiutata: sono compresi dunque tutti i bambini e tutti quelli che non l'hanno conosciuto. Infatti  è Gesù che ha istituito il Battesimo, allora gli altri che sono venuti prima, dove sono andati a finire?
 (Tutto ciò è spiegato abbastanza bene negli art. 261 e 262 del “Catechismo della Chiesa Cattolica”).
Il Battesimo appare quindi come un “atto di adesione” senza il quale non si è cristiani. Si capisce allora perché “il battistero” era vicino alla porta della chiesa o addirittura costituiva un edificio a parte.

Quindi alla mia nipotina ho risposto semplicemente: “Tutti i bimbi piccoli, anche se non hanno ricevuto il Battesimo, sono andati in Paradiso a giocare con Gesù”.